Trafficare idrocarburi non è un affare per pochi intimi, servono i giusti partner. E il boss Luigi Mancuso, detto “zio Luigi” o “il Supremo”, è il perno nell’affare delle Petrolmafie che ha fatto scaturire un’inchiesta da parte della Dda di Catanzaro. 

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Intorno alla figura di zio Luigi si riuniscono le mafie di diversa estrazione, sono consorterie siciliane, campane e anche romane. Coinvolti sono imprenditori legati a doppio filo alle famiglie dei Mazzei e dei Pillera. Ma in Calabria, dentro all’affare degli idrocarburi non c’è solo Luigi Mancuso, ci sono anche i suoi nipoti: Francesco detto “Tabacco” e Silvana. Coinvolti sono anche altri pezzi da novanta, parenti e affini di Giuseppe D’Amico, figura chiave nell’inchiesta Petrolmafie. Il fratello Antonio è noto alla polizia giudiziaria: ha sposato una Gallace, famiglia di peso nel Vibonese. Il suocero di Antonio D’Amico venne ucciso nel 1993, il cognato nel 2002. Giuseppe D’Amico è anche genero di Ciccio D’Angelo, un vecchio uomo d’onore di Piscopio.

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La spina nel fianco dei Mancuso si chiama Emanuele

Ma gli uomini e le donne implicati nell’affare sporco degli idrocarburi non si erano resi conto di essere seguiti passo passo dagli investigatori che hanno raccolto intercettazioni, pedinamenti, immagini. Le stesse immagini che ci mostra in esclusiva  la trasmissione Mammasantissima condotta da Pietro Comito.
I presunti trafficanti o oro nero avevano altre preoccupazioni.
Tra i Mancuso, infatti, c’è una spina nel fianco. Si chiama Emanuele, è poco più che trentenne ed è divenuto il primo collaboratore di giustizia della stirpe.

«Con le tessere facevamo 500 euro di benzina gratis ogni 10 giorni»

Ha cominciato a collaborare a 30 anni compiuti, nel 2018.
Ha parlato di traffico di droga, rapporti poco professionali di certi avvocati, dei rapporti tra i Mancuso e le altre cosche. Ha aperto voragini.
Ha parlato anche degli intrallazzi con gli idrocarburi.
«Per quanto riguarda la benzina – racconta al pm Antonio De Bernanrdo – sia mia madre diceva di avere il conto. Io non l’ho mai vista pagare. E anche io. A fine mese, quando andavo là mi diceva: “Guarda che non ha niente da pagare. È stato già tutto pagato. Mi facevano diverse tessere Q8. All’epoca si ricaricavano massimo 200 punti al giorno. Su tre tessere, quattro tessere, ricaricate 200 punti al giorno, significava che io avevo 500 euro di benzina gratis ogni 10 giorni. I premi consistevano nel poter prendere 50-100 euro di carburante con le tessere…».

Il pool di Nicola Gratteri

Emanuele Mancuso è figlio del boss Pantaleone detto l’ingegnere. È depositario di molti segreti sugli affari della famiglia. Il ragazzo faceva paura. Così come temuta era l’azione sfiancante della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, guidata fino a settembre scorso dal procuratore Nicola Gratteri, oggi alla guida della procura di Napoli.
Gratteri, insieme al proprio vicario che oggi giuda la Procura, Vincenzo Capomolla, ha creato un pool di magistrati concentrati sulla provincia di Vibo Valentia: Antonio De Bernardo, Annamaria Frustaci, Andra Mancuso (oggi anche lui a Napoli), Andrea Buzzelli e, da poco tempo, Irene Crea.

L’ira dei broker contro Gratteri

Ad inveire contro di loro c’erano i broker che, insieme ad Antonio Prenesti, fungevano da cerniera tra i Mancuso e i petrolieri stranieri.
La broker Irina Paduret, assolta in primo grado, viene intercettata mentre dice: «Questo pezzo di m... che pensa di essere il calabrese numero uno».
Le fa eco un altro broker, anche lui assolto in primo grado, Francesco Saverio Porretta: «Ma è un pezzo di m… questo Gratteri… che cazzo di calabrese sei? Almeno per la tua terra cog... Cosa ti danno? Ma cosa ti danno, una medaglia? Tanto sotto terra anche tu un domani vai a finire. Poi cosa voglio dire? Che vogliono distruggere la ‘ndrangheta? La ‘ndrangheta è lo Stato! Lavora per lo Stato! Ma lo vuoi capire? Sto Gratteri… Ma perché non vai a prendere i personaggi politici. I politici deve andare a prendere che i politici danno una mano a loro!»