Rocco Filippone si “affaccia” nell’inchiesta ’Ndrangheta stragista da boss quasi sconosciuto, quantomeno al circuito mediatico. Nei processi di primo grado e d’appello la sua figura acquista consistenza: viene individuato come un esponente «apicale» del clan Piromalli, «che ha attivamente partecipato alla fase organizzativa e operativa del piano stragista ai danni dei Carabinieri».

Secondo tre pentiti, il suo coinvolgimento «dimostra plasticamente e concretamente la fattiva collaborazione che i vertici della 'ndrangheta calabrese avevano prestato a Cosa Nostra».

Un quarto collaboratore di giustizia riferisce su Filippone un fatto inquietante, che i giudici citano nelle 1.400 pagine della sentenza. Non si tratta di un pentito qualunque: Pino Scriva fu il primo a saltare il fosso, nel 1983. Carattere istrionico: «Se si chiama ’ndrangheta è perché l’ho detto io», disse rispondendo a una domanda del procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo. Le sue dichiarazioni sulla figura del boss condannato all’ergastolo per l’eccidio dei carabinieri Antonino Fava e Vincenzo Garofalo risalgono all’inizio della collaborazione con la giustizia.

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Per i magistrati si tratta di frasi «da evidenziare»: Scriva «ha riferito di avere conosciuto, quali 'ndranghetisti della zona di Melicucco, Rocco Filippone e Pronestì, aggiungendo di avere trascorso un periodo di latitanza con l'appoggio del primo “che mi ‘teneva’ in una masseria di campagna poco prima di Melicucco"».

Non solo: il pentito morto nel 2021 a 75 anni, dice di aver «nominato Filippone, indicandolo come 'ndranghetista» in un vecchio interrogatorio tenuto da un magistrato «che dopo avere ascoltato il nome dell'odierno imputato, ribatteva: "Rocco Filippone è amico di un mio amico di Reggio Calabria"». Frase più che sufficiente per suggerire a Scriva «che Filippone "poteva dormire sonni tranquilli", tant'è che, aggiungeva, non era mai stato processato per reati di 'ndrangheta e non fu citato il suo nominativo nel verbale di interrogatorio di cui aveva riferito».

Il primo storico pentito ipotizza protezioni ad alto livello per Filippone. La sentenza si occupa di ricostruire le risultanze giudiziarie a carico di quello che viene ritenuto uno degli uomini di punta del clan Piromalli. Il primo riscontro «della risalente appartenenza del Filippone all'ambito associativo 'ndranghetistico», è «la proposta di applicazione della misura di prevenzione del 1968, nonché una nota dei carabinieri di Gioia Tauro del 1985, da cui emerge che» Filippone, «dopo l'irrogazione di una diffida del Questore nel 1966, aveva tenuto una pessima condotta di vita ed era indicato come fiancheggiatore di latitanti».

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Da una nuova proposta di applicazione di misura di prevenzione arrivata nel 1999, «risulta che Filippone era stato colpito nei primi anni 80 da due ordini di cattura a cui si sottraeva dandosi alla latitanza, per i reati di associazione a delinquere e associazione di stampo mafioso finalizzata a commettere delitti di natura patrimoniale e di favoreggiamento personale». Questi reati sarebbe stati commessi a vantaggio proprio del pentito Pino Scriva, che dunque conosceva bene Filippone.

Per i giudici, Filippone avrebbe rivestito un «ruolo di vertice» nel clan Piromalli, di cui sarebbe stato «rappresentante» anche all’esterno dello stesso territorio della Piana di Gioia Tauro. «Filippone – scrivono i giudici – aveva il compito non solo e non tanto di dirigere il locale di Melicucco, ma altresì fungeva da espressione dei Piromalli, sicché ben si spiega il compito a lui affidatogli di "portavoce" operativo della decisione, assunta da una delle famiglie espressione della 'ndrangheta, di aderire alla strategia stragista siciliana, attuando anche in Calabria il progetto destabilizzante contro lo Stato portato avanti dai corleonesi, ormai a capo di Cosa Nostra».

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Filippone, evidenziano i giudici, «è anche colui che, per come affermato dal nipote Calabrò, ospita soggetti siciliani nell'incontro presso la sua abitazione, da cui deriverà l’incarico (…) di uccidere "dei" Carabinieri». Un ruolo che «non avrebbe potuto essere attribuito ad un soggetto che non avesse goduto dell'assoluta fiducia degli esponenti di primo piano della 'ndrangheta, su tutti le famiglie De Stefano-Piromalli-Mancuso», che «dominavano le scelte strategiche ai più elevati livelli di potere criminale». Un capo, insomma, per quanto capace a restare sotto traccia per anni. Se sia successo per caso, per abilità o perché fosse «amico di un amico di Reggio Calabria» forse è un mistero che è andato via con Pino Scriva.