Appellata l'ordinanza parziale di primo grado. Adesso sarà la sezione centrale a pronunciarsi sul caso dell'assenteista che ha avuto eco internazionale. Citati a giudizio anche gli ex dirigenti del Pugliese
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La Procura regionale della Corte dei Conti ha appellato l’ordinanza parziale emessa lo scorso luglio dalla sezione giurisdizionale citando a giudizio Salvatore Scumace e altri otto tra ex e attuali dipendenti dell’ex azienda ospedaliera Pugliese Ciaccio di Catanzaro per ottenere il risarcimento del danno d’immagine, dichiarato inammissibile nella sentenza di primo grado.
In appello
Sarà adesso la sezione giurisdizionale centrale d’appello a doversi ripronunciare, in parte, sul presunto caso di assenteismo deflagrato nell’aprile del 2021 che suscitò un enorme clamore mediatico catalizzando l’attenzione di agenzie, emittenti televisive, testate online regionali, nazionali e perfino internazionali rimbalzando sulle pagine di The Guardian, The New York Times, El Mundo, Bbc e Der Spiegel, per citarne alcuni.
Il danno d'immagine
In ciò consisterebbe il danno d'immagine subito dall'ex ospedale Pugliese e ipotizzato dalla Procura della Corte dei Conti. Nato come procedimento penale, ha poi originato, in appendice, un giudizio di responsabilità contabile. I giudici nell'ordinanza emessa a luglio ne hanno dichiarato l'inammissibilità procedendo solo per il danno patrimoniale che Salvatore Scumace avrebbe procurato all’azienda ospedaliera di Catanzaro con il concorso omissivo di ex e attuali dipendenti, assentandosi per ben 15 anni dal posto di lavoro.
15 anni di stipendi senza andare al lavoro
Cinquecento mila euro, pari al valore degli stipendi percepiti dall’ex dipendente dall’agosto 2005 fino a maggio 2020 senza però mai mettere piede in ospedale. Ma accanto al danno patrimoniale esisterebbe anche un danno d’immagine quantificato dalla Procura della Corte dei Conti in un milione di euro chiesti a titolo risarcitorio oltre che a Salvatore Scumace, anche a Maria Catena Rita Cuffari e a Nino Critelli, in qualità di responsabili del centro operativo emergenza incendi; a Salvatore Calabretta, a Vittorio Prejanò, a Massimo Esposito, a Maria Pia De Vito e a Giuseppe Scalzo, in qualità di responsabili dell’Ufficio Risorse Umane e a Francesco Citriniti, quale titolare della posizione organizzativa dei flussi informativi nell’area Risorse umane.
Citati a giudizio
Tutti sono stati nuovamente citati dalla Procura della Corte dei Conti perché, secondo l’accusa, grazie al «placet concorrente dei dirigenti e dei funzionari con incarichi di responsabilità i quali, nonostante l’evidenza, non hanno posto in essere alcuna azione atta a correggere la condotta illecita dello Scumace, ovvero a farne cessare gli effetti pur avendone l’obbligo giuridico».
Nessun mezzo fraudolento
Nella ordinanza parziale i giudici contabili avevano dichiarato inammissibile il danno d’immagine «non avendo lo Scumace Salvatore attestato falsamente la sua presenza in servizio, né in proprio né a mezzo terzi, né ricorrendo a modalità fraudolente. Egli, nella perpetrazione dell’illecito, è stato trasparente: non ha fatto credere che era in servizio; più basicamente non si è mai recato in ufficio».
Profilo di pericolosità sociale
Ma per la Procura della Corte dei Conti, invece, «non sembra possa esserci alcun dubbio sull’esistenza di un intento fraudolento in capo allo Scumace e all’evidenza di profili di pericolosità sociale che connotano il soggetto autore del disegno criminoso».
Minacce verbali e intimidazioni
Nell’atto di citazione si evidenzia come «la condotta realizzata dallo Scumace avesse oggettivamente natura fraudolenta e che fosse connotata da modalità particolarmente allarmanti consistite nell’uso reiterato della minaccia verbale e, in concreto, dell’intimidazione operata personalmente o a mezzo terzi al fine di trarre in inganno l’amministrazione di appartenenza sul rispetto dell’orario di lavoro».
Una pensione più alta
«In proposito, è appena sufficiente richiamare quanto emerge in atti – annota la Procura nell’istanza di citazione – e cioè non soltanto che già a decorrere dal 2005 – per ben 15 anni – Scumace non ha mai lavorato ma anche che, ciononostante, ha manifestato formalmente la volontà di operare una ulteriore frode richiedendo nel 2020 al proprio datore di lavoro la ricostruzione della propria carriera lavorativa al fine di ottenere un inquadramento che gli consentisse retroattivamente di percepire una maggiore retribuzione».
Clima di silenzio e omertà
Fu proprio questa richiesta che consentì all’epoca di far emergere il presunto reiterato assenteismo dell’ex dipendente dell’ospedale. «È dunque in palese distonia con ogni evidenza documentale e ogni comportamento l’affermazione del giudice di prima cure secondo cui il comportamento di Scumace è stato “trasparente” essendo stato – di contro – sempre improntato al perseguimento illecito del proprio interesse personale, posto in essere cercando di creare un clima di silenzio ed omertà tramite l’uso dello strumento intimidatorio tramite violenza verbale nei confronti dei diretti superiori, recandosi in ufficio in maniera sporadica e a proprio piacimento, cercando anche in maniera spregiudicata e subdola di ottenere, ormai prossimo all’età pensionabile un inquadramento professionale in una categoria superiore che gli consentisse di percepire arretrati e una pensione più alta».
Il danno patrimoniale
Nel frattempo è proseguita nella giornata di ieri l’udienza per l’accertamento del danno patrimoniale. La Corte dei Conti aveva chiesto una integrazione documentale all’ex azienda ospedaliera. Nello specifico, il deposito del regolamento aziendale con cui si disciplina il «riparto di competenze interno in materia di accertamento delle presenze del personale in funzione del pagamento della retribuzione mensile». I giudici contabili avevano deciso di vederci chiaro sulle responsabilità prima di emettere sentenza.