Circa tre anni fa, fui protagonista di un duro scontro con  due colleghi del Fatto Quotidiano, Lucio Musolino ed Enrico Fierro dopo che sul loro giornale e a loro firma apparve un pezzo dal titolo  “La missione: il viaggio inutile, buttati 189mila euro. Imprese calabresi in gita in Cina ma fichi e ‘nduja non arrivano”. Nel reportage si faceva riferimento ad una missione in Cina di imprese calabresi finanziata da Fincalabra e organizzata da Pubbliemme, società editrice della tv LaC e del sito Lacnews24.it.

 

L’articolo, estremamente critico, si avvaleva delle interviste di una serie di testimonianze di imprenditori partecipanti al viaggio e scontenti dell’organizzazione e dei risultati. Inoltre si faceva riferimento anche alla mia presenza come giornalista della testata, con richiami alla mia attività precedente di collaboratore di alcuni politici calabresi. Fatto che non ho gradito ritenendolo fuori luogo e che mi ha indotto ad una reazione durissima, in poche parole sono volati gli stracci e qualche frase estremante pesante che, devo riconoscerlo in alcuni passaggi non solo era sopra le righe ma risultava lesiva della stessa onorabilità dei colleghi. A mente fredda, rianalizzando i fatti, sento il dovere di chiarire alcuni passaggi tra i più controversi  del mio editoriale del 7 dicembre 2015 sul sito de Lacnews24.it, dal titolo “La missione Calabria in Cina e le balle di Fierro e Musolino…”.

 

Una doverosa rettifica che interviene dopo aver avuto con gli stessi colleghi Musolino e Fierro un incontro di chiarimento e di riconciliazione. In tal senso voglio precisare che nella composizione del pezzo, Fierro e Musolino non hanno mai “estorto”, come avevo scritto, dichiarazioni a imprenditori e altri testimoni, né Fierro è stato “impegnato a diffondere il verbo del professionismo dell’antimafia e a lucrarci sopra”. Non ha senso, né trova appigli con la realtà la frase “assiduo frequentatore del club dell’estortore travestito da giornalista…”. Come non aveva senso, né appigli con la realtà fattuale la frase “c’è da ritenere che la spazzatura spacciata per giornalismo di inchiesta sia stata concordata proprio con la holding del giornalismo da ricatto cresciuto tra Africo e lo Zomaro”. A tal proposito voglio precisare che tale affermazione non era affatto diretta ai due colleghi.

 

Sono convinto che l’inchiesta di Fierro e Musolino sia stata fatta in piena autonomia e, pur nella asprezza dei toni usati nei miei confronti, rispettando tutti i criteri della limpidezza e dell’onestà giornalistica. Onestamente non ho mai pensato che i colleghi facciano parte di una holding del ricatto cresciuta tra Africo e lo Zomaro, frase più utilizzata come colorita provocazione. Voglio scusarmi con entrambi i colleghi per averli accusati di “boia dell’informazione” e per l’accostamento dei loro nomi allo “scandalo Crocetta” oggettivamente  sbagliato e fuori luogo e per aver definito Enrico Fierro  “killer mediatico di un estorsore travestito da giornalista”. Gli scontri tra colleghi lasciano sempre l’amaro in bocca, soprattutto quando avvengono con professionisti di livello e riconosciuti per la loro grande autonomia, per tali motivi mi sento di affermare oggi a distanza di poco più di tre anni che  non c’era  nessun “mandante” dietro la produzione dell’articolo di Fierro e Musolino.  Sentivo il dovere morale di fare queste precisazioni e considerare chiuso quell’incidente di percorso nei nostri rapporti, anzi, mi auguro che futuro si possa collaborare per l’obiettivo comune di una buona informazione.

 

Pasquale Motta