«Ho accettato di lavorare a queste condizioni perché ho bisogno di lavorare ed ho una famiglia da mantenere, mio marito ha lavorato solo saltuariamente ed ho dovuto mantenere anche due figli che ormai sono grandi». A parlare è una lavoratrice dell’Agricola Lenti soc. coop. arl e le condizioni sarebbero trenta euro per otto ore al giorno di lavoro, mentre sulla carta risultava tutt’altro, così come per il Tfr e le ferie retribuite.

 

Sono alcuni degli aspetti che emergono dalla carte dell’inchiesta Spartaco, condotta dal Nucleo Mobile della Guardia di Finanza di Lamezia Terme, Comandante del Gruppo Clemente Crisci, e coordinate dal Procuratore Salvatore Curcio e dal sostituto Alberto Cianfarini, che ha portato a nove avvisi di garanzia per estorsione e che ha visto indagati, tra gli altri, il presidente di Confagricoltura Alberto Statti e l’addetta alle assunzioni e alle paghe Maria Costanzo. Nelle carte dell’inchiesta vengono riportate le escussioni, le intercettazioni e i documenti che avrebbero permesso alla Guardia di Finanza di porre un freno ad una serie di azioni che avrebbero avuto come finalità quella di arrecare un danno agli operai dell’azienda e di trattenere per sé un profitto. Un sistema del quale Alberto Statti, sarebbe stato «il dominus delle fattispecie delittuose. La condotta tenuta dal citato indagato ha procurato allo stesso un ingiusto profitto, corrispondente al trattenimento delle somme ed indennità previste come dovute e non erogate, con corrispondente danno alle persone offese».

 

In particolare, Statti avrebbe fatto mettere nero su bianco che gli operai avrebbero lavorato sei ore e mezza al giorno, mentre i lavoratori avrebbero effettuato otto ore al giorno senza percepire alcuno straordinario e con una paga oraria minore rispetto a quella indicata dal Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro. Ma non solo. «Dalle dichiarazioni rese è emersa la psicologica (e fisica) sudditanza degli stessi verso il loro datore di lavoro» dicono ancora gli inquirenti, avendo avuto a che fare, spiegano, con lavoratori che hanno in un primo momento negato alcuni aspetti per poi, invece, ammetterli nelle successive escussioni. Dopo l’avvio delle indagini Statti avrebbe cercato di porre ai ripari facendo firmare delle conciliazioni agli operai. Conciliazioni che, secondo le testimonianze raccolte, non sarebbero state chieste dai dipendenti che non ne avrebbero neppure conosciuto i contenuti, limitandosi a firmare e trovandosi davanti ad un legale presentatogli come il loro ma mai visto prima.

 

In queste conciliazioni i lavoratori firmarono di rinunciare ad ogni pretesa nei confronti dell’azienda. «Io non ricordo la clausola che mi avete appena fatto leggere – dice una lavoratrice interrogata - l’avvocato non mi ha spiegato nulla in merito o almeno io non ho capito che stavo rinunciando a tutti i miei diritti. Ribadisco io non ho chiamato nessun avvocato nè conosco il nome di quello che mi ha difeso nella trattativa». Dichiarazioni che verranno confermate anche da altri operai. “Quello” sarebbe nella maggior parte dei casi Gennaro di Natale, avvocato nello studio del difensore di Statti Franco Giampà e ora anche lui indagato insieme all’avvocato Giuseppe Pizzonia (residente a Lamezia Terme). «L’avvocato che avrebbe dovuto assistere i dipendenti – si legge nelle carte dell’inchiesta - non è stato nominato dalle parti offese e clienti dei difensori, ma in realtà dallo stesso indagato e da questi probabilmente retribuito (esistono rapporti commerciali e di fatturazione tra i due avvocati e l’avvocato dell’indagato Statti (Giampà Franco) risultanti dall’Anagrafe tributaria». La Procura della Repubblica ha chiesto e ottenuto dal gip del tribunale di Lamezia il sequestro di beni fino al valore di 835 mila euro, ritenuti l’illecito profitto derivante dalle attività estorsive e di autoriciclaggio. Il vincolo interessa sia le persone fisiche, sia l’ente societario in quanto destinatario del profitto del reato, ai sensi della recente giurisprudenza della Cassazione sul punto.

 

LEGGI ANCHE: Inchiesta Spartaco, 9 nuovi indagati: c’è anche l’imprenditore Statti