Inchiesta Spartaco, 9 indagati e sequestro beni per oltre 800mila euro

Le indagini, che fanno seguito all’operazione scattata nel 2017, hanno permesso di accertare ulteriori condotte estorsive ai danni di 14 dipendenti. Coinvolti anche due avvocati

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di Redazione
19 giugno 2019
11:09

Sequestro preventivo di beni per oltre 800mila euro e nove avvisi di garanzia per estorsione. È questo l’esito dell’operazione Spartaco che ha portato all’esecuzione da parte del gruppo della Guardia di finanza di Lamezia del sequestro nei confronti degli imprenditori agricoli S.A. di anni 52 e S.A. di anni 50 e altre sette persone.

 


Si tratta della prosecuzione ed evoluzione delle indagini che nel giugno del 2017 avevano già portato alla notifica di altri provvedimenti cautelari a carico di S.A di anni 52, annullati poi dal tribunale della libertà di Catanzaro con ordinanza successivamente cassata dalla Suprema Corte, su ricorso proposto dalla Procura. Per i fatti relativi al procedimento penale, in cui S.A è imputato per il reato di estorsione commessa a danno di 23 dei suoi dipendenti, la procura aveva già chiesto il rinvio a giudizio.

 

Le indagini hanno consentito di accertare che S.A e S.A. si sono resi responsabili di altre condotte estorsive nei confronti di ulteriori 14 dipendenti.


Sono al vaglio anche una serie di azioni volte ad inquinare le prove esistenti a carico degli indagati, ragion per cui sono stati sottoposti ad indagine anche due avvocati del foro lametino e la segretaria degli stessi imprenditori.


In particolare, è stato riscontrato che nel momento in cui la guardia di finanza iniziava ad assumere informazioni dai dipendenti dell’azienda agricola da loro gestita, S.A. - venuto a conoscenza delle dichiarazioni che erano state rese, oltremodo indizianti per la sua persona - faceva sottoscrivere ai suoi dipendenti degli atti di conciliazione a mezzo dei quali questi ultimi attestavano di voler rinunciare ad ogni legittima pretesa verso il datore di lavoro maturata nell’intero arco temporale del rapporto lavorativo, accettando esigue somme che l’imprenditore riconosceva loro quali asseriti emolumenti dovuti e non erogati in precedenza.

Le condizioni accettate dai lavoratori, formalmente riportate nei summenzionati processi verbali di conciliazione, sono apparse sin da subito oltremodo vessatorie per gli stessi e molto favorevoli per il datore di lavoro, in relazione a quanto emerso dalle indagini, ed è risultato evidente che si trattava di accordi proposti evidentemente dallo stesso datore di lavoro. Le attività investigative condotte dalle fiamme gialle lametine hanno fatto emergere come gli atti di conciliazione fossero intervenuti proprio su iniziativa del datore di lavoro, e come i dipendenti non avessero avuto contezza del reale contenuto degli stessi.

 

Agli indagati è stato inoltre contestato anche il reato di autoriciclaggio. Sequestrati quindi beni fino al valore di 835mila euro ritenuti l’illecito profitto derivante dalle attività estorsive e di autoriciclaggio.
Il vincolo interessa sia le persone fisiche, sia l’ente societario.

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