Approfittavano del bisogno di denaro che interessava imprenditori ma anche semplici cittadini per il sostentamento proprio o del nucleo famigliare di appartenenza ed arrivavano a chiedere interessi che in alcuni casi arrivavano al 400%.

Radicati sul territorio e ben noti agli abitanti della città che ne conoscevano «la caratura criminale e la pericolosità». Così la Procura della città del Pollino delinea il profilo del gruppo di persone oggi oggetto degli arresti per usura a seguito dell'operazione congiunta che ha visto protagonisti i carabinieri del comando compagnia agli ordini del maggiore Giovanni Caruso, gli agenti di polizia di Stato guidati dal dirigente del commissariato il vice questore Nando Papaleo e la guardia di finanza con gli uomini del capitano Giuseppe Savoia, che hanno ricostruito il quadro economico e di vessazioni ai quali erano sottoposti diverse persone dell'hinterland.

La talpa negli uffici della procura

Accanto a coloro che erano già gravati da precedenti penali e carichi pendenti e che hanno continuato a delinquere indifferenti alle sanzioni cui sono stati sopposti, c'era invece il gruppo di insospettabili che gli inquirenti definiscono «pericolosi al pari dei primi» che agivano sotto la copertura di questi ultimi senza temere in alcun modo l'intervento delle forze dell'ordine.

Così spregiudicati da arrivare nelle stanze della Procura della Repubblica grazie ad un dipendente infedele che rivelò al nipote Andrea Pasquale Maradei ed al cognato di quest'ultimo, Francesco Ciminelli (entrambi agli arresti in carcere) informazioni coperte dal segreto istruttorio e, in particolare, i dati relativi alle iscrizioni effettuate nell'ambito del procedimento penale che li riguardava insieme agli altri del gruppo oggi finito in manette nell'operazione "Pacta sunt servanda".

Ma quelle informazioni non hanno fermato l'azione degli inquirenti che a distanza di due anni hanno chiuso il cerchio attorno agli indagati.

Vittime assoggettate 

Si muovevano con accortezza nell'esecuzione delle condotte criminose. Lo si denota nell'ordinanza di oltre 780 pagine, dal fatto che avevano attivato utenze telefoniche intestate a cittadini stranieri a loro non riconducibili, che utilizzavano vetture noleggiate o spesso non intestate a loro direttamente.

Ma si muovevano con «naturalezza» scrivono gli inquirenti quasi fosse un'attività legale quella di prestare denaro con interesse da capogiro per poi chiedere di saldarne il conto in maniera violenta e minacciosa in caso di inadempimento.

Seguendo la sfilza di intercettazioni ed i servizi di pedinamento sul territorio durante una giornata sembra che gli indagati «rispettino un orario di ufficio» si legge tra le carte che i magistrati hanno prodotto per far scattare il blitz che all'alba di oggi ha portato in carcere Pietro Quintieri 51 anni, Andrea Pasquale Maradei 43 anni, Francesco Ciminelli 58 anni, Damiamo Diodati 33 anni di Castrovillari, Salvatore Pantusa 64 anni di Celico, Michele Sementilli 44 anni, Stendardo Luca 54 anni entrambi di Roma e ai domiciliari F.C. 43 anni, P.M. 42 anni, V.C. 31 anni, A.L. 52 anni tutti di Castrovillari.

Alcuni di loro, infatti, lavorando presso l'ospedale di Castrovillari, hanno messo in atto le condotte criminose proprio all'interno del plesso ospedaliero o nelle adiacenze di esso, durante l'esercizio di quella che è la formale ed ufficiale attività lavorativa quotidiana.

La pericolosità sociale degli indagati emerge dalla qualità dei reati commessi contro il patrimonio e contro la libertà ed incolumità individuale, dal numero di reati commessi con condotte criminose plurime e reiterate, dalla varietà dei reati commessi e dalla capacità di assoggettare le vittime al proprio volere, ma anche dalla pluralità di vittime di diversa estrazione sociale e tutte in «stato di autentico bisogno».

Condizioni di necessità verso le quali hanno dimostrato «indifferenza» perpetrando condotte violente e minacciose che in alcuni casi hanno coinvolto anche familiari delle loro vittime per costringerli a pagare le somme di denaro ricevute.