«E’ una storia vecchia, una storia a suo tempo già chiarita, una storia che era già richiamata nell’ordinanza custodiale dell’operazione “Falcos” (blitz antimafia che nel 2009 disarticolò un’organizzazione mafiosa attiva nel territorio di Borgia, ndr). Una storia rispetto alla quale, a suo tempo, spiegai tutto ciò che c’era da spiegare agli stessi carabinieri».

 

Arturo Bova non nasconde il suo stato d’animo: «Come mi sento? E come volete che mi senta? Sono cose che fanno male». Mentre si appresta a presiedere la Commissione regionale anti-’ndrangheta - che stamani a Palazzo Campanella sentirà il delegato del presidente della Regione alle politiche per l’immigrazione Giovanni Manoccio e il sindaco di Isola Capo Rizzuto Gianluca Bruno - commenta le notizie di stampa sulla Gife, società della quale uno dei soci, ieri come oggi, è il presunto boss di Roccelletta di Borgia Leonardo Caterisano; società della quale, circa dodici anni fa, succedendo al cugino Giovanni Bova, l’attuale consigliere regionale dei Democratici progressisti era amministratore unico, fino alla cessione definitiva delle quote nel 2012.

 

«Non lascio, non scherziamo, non c’è proprio motivo per farlo. Quello che dovevo spiegare l’ho spiegato, già a suo tempo. E non devo aggiungere altro». La Gife, istituita come società in accomandita semplice nel 1997 e poi trasformatasi in società a responsabilità di limitata nel 2001, è menzionata negli atti dell’inchiesta “Jonny” che ha scoperchiato il presunto vortice di malaffare che ha inghiottito il Cara di Isola.

 

Nel contesto degli atti che hanno portato al fermo sul quale si attende – dopo il primo verdetto dei giudici territoriali – il pronunciamento del gip distrettuale, viene richiamata la figura di Leonardo Cateriano e le vicende societarie della Gife srl.

«Furono i miei cugini – dice Arturo Bova – a coinvolgermi in questa società, visto che curavo i loro interessi a livello legale. Dall’amministrazione, però, di fatto sono quasi sempre stato assente, me ne sono disinteressato per anni. Salvo poi prendere atto che qualcosa non quadrava e che approfittando della mia assenza si era creato un buco enorme nei conti. Ad un certo punto mi prodigai per risanare l’esposizione debitoria, fino alla mia uscita dalla società. Passaggi di cui nel tempo ho sempre tenuto aggiornati gli stessi carabinieri».