Dagli elementi acquisiti dai carabinieri e incastonati nel quadro prospettato dalla Procura di Vibo Valentia, emergono una «elevata aggressività», «assenza di autocontrollo» e, poi, la «pochezza dei motivi scatenanti» che denotano «l’elevato grado di pericolosità ed impulsività» di un indagato che non avrebbe così disdegnato «il ricorso a sistemi oltremodo violenti, aggressivi, sbrigativi» per tutelare i propri interessi.


Il gip di Vibo Valentia Gabriella Lupoli ravvisa il pericolo di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio ed è per questo che ha disposto il carcere per Antonio Pontoriero, l’unico indagato per l’omicidio dell’attivista sindacale contro lo sfruttamento dei migranti Soumaila Sacko. Ucciso – è in sintesi anche la valutazione del gip – perché l’indagato non avrebbe tollerato l’intrusione nella ex Fornace, la fabbrica dismessa sotto sequestro, perché in essa sono stipate 127 tonnellate di rifiuti tossici, che Pontoriero considerava cosa sua, una sorta di magazzino da cui continuare ad attingere laterizi da usare o rivendere. In attesa dell’esito degli esami tecnico-scientifici, gli elementi indiziari recepiti dal gip indicano che l’indagato aveva intenzione di uccidere e non solo Soumaila che coi suoi compagni voleva solo recuperare del materiale per costruire qualche baracca.


Eppure Pontoriero ha provato a difendersi. Ha ammesso di essere stato presente sui luoghi, ma ha negato di aver sparato. Le sue spiegazioni non sono state sufficienti a ribaltare la granitica e fin qui riscontrata versione dei due sopravvissuti.

 

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