La prima sezione penale condivide l'assunto accusatorio, ma riduce di quattro mesi la pena all'imputato: ecco perché
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L’omicidio di Giuseppe Ruffolo fu commesso da Massimiliano D’Elia. Si è espressa così la prima sezione penale della Corte di Cassazione nel processo per omicidio volontario in cui era coinvolto il giovane cosentino, accusato di aver assassinato a colpi d’arma da fuoco la vittima nel quartiere di Città 2000 a Cosenza, nel settembre del 2011.
Gli ermellini hanno quindi confermato la penale responsabilità del presunto associato al clan degli italiani – come si legge dalle carte dell’inchiesta “Reset” – annullando senza rinvio il capo relativo all’uso delle armi con il metodo mafioso. Massimiliano D’Elia è stato condannato dunque a 17 anni e 4 mesi di carcere, rispetto ai 17 anni e 8 mesi inflitti dai giudici di secondo grado di Catanzaro, di cui quasi cinque già scontati durante il periodo di carcerazione preventiva.
Omicidio di Giuseppe Ruffolo, un processo dai due volti
Il verdetto della Cassazione chiude un processo che ha vissuto diversi momenti importanti. Dalla Corte d’Assise di Cosenza, la quale riteneva che Massimiliano D’Elia avesse ammazzato Ruffolo per fare un favore alla ‘ndrangheta, in quanto la vittima non avrebbe versato la “quota” dei soldi proventi della presunta attività usuraia nella “bacinella comune”, alla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, la quale aveva escluso che il movente fosse legato alla criminalità organizzata di stampo mafioso cosentina, bensì riconducibile a una causale prettamente personale. Alla fine ha prevalso la linea dei giudici d’appello che evidentemente hanno inquadrato nel modo corretto la vicenda giudiziaria. Massimiliano D’Elia è stato difeso nel procedimento penale dagli avvocati Fiorella Bozzarello e Alessandro Diddi.