L’ultima persona a vedere ancora in vita Francesco Rosso è la cugina. Il 14 aprile del 2015 va di fretta, diretta al supermercato dove acquista in meno di cinque minuti il pane ed una coca cola. Entrando nel supermercato intorno alle 12.40 vede Francesco di spalle mentre rientra nella sua salumeria, di ritorno dal panificio dove era andato a portare una busta di carne.

La titolare del panificio conferma che si era allontanato di fretta senza ricevere nemmeno il prezzo della carne. Intorno alle 13.05 lo raggiunge in macelleria per pagare il conto, lo chiama ma non risponde. Mentre va via incrocia nell’ingresso dal retro un'altra persona che senza entrare attende Francesco. Anche lui lo chiama ma senza ricevere risposta. Si siede sugli scalini dell’ingresso per attenderlo dopo aver notato la presenza della macchina ancora parcheggiata nelle vicinanze. Attende circa quindici minuti e poi anche lui va via.

Il ritrovamento del corpo

Alle 14, poi, la chiamata del cognato di Francesco al titolare di un bar vicino. Non era rientrato per pranzo e gli chiede di controllare se fosse ancora in macelleria. Lo chiama, nessuna risposta. Quindi entra nell’esercizio commerciale e trova il macellaio riverso in terra dietro il bancone della carne. Inizialmente pensa fosse svenuto, poi solleva il corpo: vede il sangue e una macchia nera all’altezza della nuca.

I rilievi dei carabinieri

«Sul pavimento dell’area di lavoro in corrispondenza di un ceppo in legno, riverso in posizione prona, si trovava il cadavere di Francesco Rosso, con i piedi rivolti verso la parete di destra e la testa rivolta verso il varco d’accesso al vano retrobottega». Sono questi gli esiti del primo sopralluogo effettuato dai carabinieri del comando provinciale di Catanzaro, sopraggiunti sul posto intorno alle 14.45. «Sul pavimento in corrispondenza della mano destra del cadavere era presente un pezzo di carne, tre fogli di carne oleata e un bossolo calibro 9 mm Geco». Altri due bossoli vengono ritrovati all’interno del banco espositore e un altro sul pavimento al di sotto.

Non è una rapina

«Immediatamente i carabinieri escludevano che si fosse trattato di una rapina degenerata apparendo invece plausibile la consumazione di un’azione delittuosa premeditata. Dal registratore di cassa, infatti, non era stato asportato il denaro, né vi erano segni di una possibile colluttazione». È la ricostruzione degli ultimi minuti di vita di Francesco Rosso, contenuti nelle motivazioni della sentenza emessa lo scorso marzo dalla Corte d’Assise di Catanzaro nei confronti di Evangelista Russo, condannato all’ergastolo e ritenuto il mandante dell’omicidio; di Francesco Mauro, Antonio e Gregorio Procopio condannati all’ergastolo poiché avrebbero aiutato Russo eseguendo sopralluoghi e pedinamenti nei giorni precedenti all’omicidio.

I pedinamenti

E, infine, nei confronti di Vincenzo Sculco, condannato a 24 anni. Anche lui ritenuto complice ma non presente la mattina dell’agguato. Già il giorno prima verso le 6.45 lo zio di Francesco Rosso aveva notato la presenza di un’auto sospetta – una Fiat Stilo di colore grigio - parcheggiata nelle vicinanze della abitazione di famiglia. All’interno due uomini: «Alla guida un uomo di mezza età, carnagione scura, capelli neri e barba incolta. Al lato passeggero un ragazzo molto più giovane, di statura più alta del primo, snello, capelli corti e chiari e carnagione di colore più chiara del primo».

La Fiat Stilo

I due stavano lì da almeno un’ora. E avevano attirato l’attenzione proprio perché quella strada era generalmente usata solo dai residenti. Lo zio insospettito appunta il numero della targa e assieme al padre nota che l’auto si allontana intorno alle 8, orario in cui Francesco è solito uscire di casa per raggiungere la macelleria di famiglia.

Le confessioni 

Gli accertamenti effettuati successivamente in fase di indagini consentirono di accertare che l’auto segnalata risultava di proprietà del padre di Danilo Monti, già condannato nel settembre del 2019 con rito abbreviato a 17 anni di reclusione. Ritenuto l’esecutore materiale dell’efferato omicidio e reo confesso. Sono infatti le confessioni del killer - a seguito dell'arresto - a condurre gli investigatori fino al mandante: «La fonte ha ricordato che un giorno si trovava in un villaggio turistico in compagnia di Vincenzo Sculco, quando sopraggiungevano Gregorio Procopio e Francesco Mauro i quali lo avevano informato del fatto che vi fosse una persona disposta a pagarlo qualora avesse accettato di uccidere una persona».

Il prezzo del delitto

Dopo aver accettato Monti «ha ricordato di essersi recato in compagnia di Vincenzo Sculco, Gregorio Procopio e Francesco Mauro dal mandante che aveva incontrato presso una officina di questi sulla statale 106». Il giorno successivo all’incontro Mauro avrebbe consegnato la somma di cinquemila euro e l’arma. Il prezzo del delitto era stato fissato in trentamila euro: ventimila li avrebbe avuti Monti dopo il delitto, la restante parte sarebbe stata divisa tra Mauro e Procopio.

L'agguato

È lo stesso Danilo Monti a raccontare i dettagli dell’agguato: «All’interno del locale c’era solo Francesco Rosso, a cui prima di sparare aveva chiesto della carne». All’appuntamento della mattina non si era presentato, invece, Vincenzo Sculco, unico al quale la Corte d’Assise ha riconosciuto le circostanze attenuanti «da ritenersi equivalenti alla contestata aggravante della premeditazione in ragione del ruolo marginale svolto nel progetto omicidiario». La condanna per lui è a 24 anni di reclusione.

Ergastoli

Ergastolo, invece, per Evangelista Russo, Antonio e Gregorio Procopio e Francesco Mauro «avuto riguardo all’estrema gravità del fatto, attese le modalità, tempo e luogo di esecuzione dell’agguato; circostanze sintomatiche di particolare intensità del dolo e, dunque, dell’allarmante quadro di personalità che i fatti hanno delineato». «È dimostrata la ricorrenza della circostanza della premeditazione per le articolate e prolungate modalità di preparazione dell’azione delittuosa – si legge nelle motivazioni della sentenza - da tempo voluta da Russo (a fronte di un mandato conferito almeno due mesi prima, comprendente certamente una promessa di pagamento di duemila euro a cui ha certamente partecipato Antonio Procopio) e messa in atto dai suoi complici, dopo lunghe operazioni preliminari (ripetuti sopralluoghi e pedinamenti finalizzati allo studio della vita della vittima) con il contributo di Mauro (casualmente individuato dal Russo in ragione del rapporto lavorativo tra i due esistenti e, quindi, confidenziale atteso che il mandante non conosceva i suoi complici ma questi sono stati evidentemente individuati dallo stesso Mauro, avendo un rapporto di conoscenza diretta con Gregorio Procopio e Vincenzo Sculco)».

Il mandante

Evangelista Russo viene riconosciuto mandante dell’omicidio di Francesco Rosso a causa «dei conflitti e i profondissimi dissapori con la famiglia Rosso e, in specie, con Antonio, padre della vittima risalenti nel tempo, sfociate anche in reciproche aggressioni fisiche pure recenti rispetto all’omicidio, in una delle quali Rosso riportò segni permanenti al cranio e legati principalmente alla proprietà di un terreno confinante con la macelleria Rosso».

La vendetta

«Dunque sulla scorta di quanto innanzi argomentato – conclude la Corte - è possibile concludere che Russo commissionando il delitto di Francesco Rosso ha soddisfatto la sua vendetta mentre i suoi complici hanno agito per motivi prettamente economici. Russo nutriva profondo odio nei confronti di Antonio Rosso, che nel corso degli anni non aveva celato sicché scegliendo di colpire il figlio ha arrecato al suo nemico un dolore altrettanto enorme raggiungendo il suo unico obiettivo».

Vizio di mente

Viene esclusa «l’invocata diminuente del vizio parziale di mente difettandone i presupposti» sentenziano i giudici. Secondo le relazioni depositate in fase dibattimentale dal consulente di parte, la malattia che ha colpito Evangelista Russo - la demenza - e che oggi lo rende incompatibile con il regime carcerario è insorta successivamente al 2015.