Il giovane fu ucciso a Nicotera nel 2018 e il suo corpo dato alle fiamme. Una nuova denuncia contro sei persone è stata presentata alla Procura di Vibo e alla Dda di Catanzaro. Per il delitto è stato condannato a 30 anni Enzo Perfidio
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Si sono presentati dai carabinieri di Vibo Valentia sabato scorso, poco prima delle 13. Portavano con loro una corposa documentazione a sostegno della denuncia-querela che hanno sporto.
Una denuncia mirata, decisa, che individua sei persone, tra le quali un noto avvocato, e contempla, senza esitare, i reati di omicidio aggravato, distruzione di cadavere, danneggiamento seguito da incendio, tentato favoreggiamento.
Perché, a quasi sei anni dall’omicidio del loro figlio Stefano, di 34 anni, i coniugi Gregorio Piperno e Luigia Pagano, insegnanti in pensione residenti a Nicotera, non accettano il corso che ha seguito la giustizia. In tutti questi anni hanno raccolto ogni prova possibile e plausibile e negli ultimi mesi le hanno messe insieme e hanno deciso di indirizzarle alla Procura di Vibo Valentia, retta dal procuratore Camillo Falvo, e anche alla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore facente funzioni Vincenzo Capomolla, poiché, scrivono «riteniamo che nostro figlio Stefano sia stato ucciso brutalmente per mano di soggetti legati e protetti» da esponenti delle cosche di ’ndrangheta.
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I coniugi Piperno si riservano di costituirsi parte civile in un eventuale processo e si mettono a disposizione dell’autorità giudiziaria «per qualsiasi ulteriore chiarimento dovesse rendersi necessario». Chiedono che si «intervenga nella maniera più celere possibile nei confronti di codesti soggetti responsabili di gravi reati».
La scomparsa di Stefano Piperno e i debiti per droga
Di Stefano Piperno si sono perse le tracce nel pomeriggio del 19 giugno 2018. Si è allontanato da casa senza farvi più ritorno: il suo corpo, o quello che ne rimaneva, è stato ritrovato il giorno dopo, carbonizzato, all’interno della sua Fiat Punto ancora annerita e fumante nelle campagne di Comerconi, in località Britto. Dalle indagini è emerso che Stefano è stato ucciso a colpi di fucile e si è cercato poi disfarsi del suo cadavere dandogli fuoco in macchina.
Nel corso dell’autopsia sui poveri resti di Stefano sono state trovate tracce di stupefacente nell’intestino.
Stefano era laureato e faceva l’educatore in un centro di accoglienza straordinaria per migranti, aveva un’amica che è stata l’ultima persona che ha sentito prima di essere ucciso. Era un ragazzo che raccomandava sempre al padre di trattare con gentilezza i migranti perché hanno storie tragiche alle spalle e vanno aiutati.
Il giovane, è emerso dalle indagini, aveva contratto dei debiti per l’acquisto di sostanze stupefacenti. La vita di questo trentenne era spaccata tra una natura gentile e affabile e il morso velenoso della cocaina della quale si serviva per arginare le sofferenze di alcuni scompensi psicologici.
Più volte i genitori sono dovuti intervenire per pagare i suoi debiti, altre volte si sono rifiutati, hanno litigato con lui. Anche l’ultima volta che hanno visto Stefano, il 19 giugno 2018, i genitori avevano litigato con lui a causa delle richieste di denaro per pagare debiti pregressi correlati a precedenti cessioni di stupefacente. «A fronte della richiesta – è scritto nella sentenza d’appello – era emerso un diverbio a seguito del quale Stefano era uscito di casa prendendo l’auto, attese le condizioni di tempo avverse, adducendo quale motivazione la necessità di raggiungere il luogo di lavoro. Si allontanava tra le 15:00 e le 15:30, per non farvi più ritorno».
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Gli spacciatori di Nicotera nelle parole di Emanuele Mancuso
Nicotera, è scritto in più sentenze, è terra di mafia. Qui viveva anche Emanuele Mancuso, oggi collaboratore di giustizia, figlio di Pantaleone detto “l’ingegnere”. Emanuele Mancuso conosceva bene le dinamiche dello spaccio all’interno della comunità di Nicotera e ne ha parlato, tra l’altro, nel verbale del 23 ottobre 2018 davanti al sostituto procuratore della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, e all’allora procuratore facente funzioni di Vibo Valentia Filomena Aliberti.
Mancuso dimostra di conoscere le dinamiche dello spaccio nel paese. Racconta come veniva confezionata la droga, i guadagni per ogni dose, le amicizie e i legami degli spacciatori. Racconta che Stefano Piperno lo conosceva bene, che «era un ragazzo buono, assolutamente inoffensivo, cosi come pure i suoi genitori. Chiunque avrebbe potuto picchiarlo, ma non avrebbe mai reagito». Racconta che aveva problemi con i suoi pusher perché «per un verso non aveva i soldi per saldare il debito, per altro verso, si recava da loro in orari non consentiti, poiché rischiava di essere fermato dagli ufficiali di polizia giudiziaria». In qualche occasione lo stesso Mancuso è intervenuto per evitare al ragazzo problemi con gli spacciatori. Emanuele Mancuso è stato poi arrestato per estorsione aggravata nel marzo 2018. A giugno Stefano Piperno è stato ucciso.
Una denuncia-querela per chiudere il cerchio
Per l’omicidio del 34enne è stato condannato a 30 anni Ezio Perfidio, per omicidio aggravato da futili motivi, distruzione di cadavere e danneggiamento seguito da incendio. Nell’ambito dello stesso procedimento Francesco Perfidio, padre di Ezio, è stato condannato a sei anni per distruzione di cadavere, danneggiamento seguito da incendio e cessione di sostanza stupefacente.
Secondo i genitori di Stefano Piperno, però, il cerchio sulla morte del proprio ragazzo fragile e buono non è stato affatto chiuso.