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«Gli esecutori di questo omicidio sono: Massimo Bevilacqua, detto giacchetta; Luciano Macrì, fratello di Antonio Macrì detto palletta di Gioiosa Jonica, la cui mamma abita a Brancaleone; Carmelo Bevilacqua detto Occhiogrosso; Luciano Macrì, detto “u nigru”». L’omicidio è uno di quelli eccellenti. Anzi, forse il più importante negli ultimi anni sulla Piana di Gioia Tauro: l’uccisione di Rocco Molè, avvenuta il primo febbraio del 2008, infatti, fu in grado di mutare profondamente gli equilibri in seno alle cosche della fascia tirrenica della provincia reggina.
A fare i nomi dei presunti esecutori dell’omicidio è il collaboratore di giustizia Simone Canale, le cui dichiarazioni sono state messe agli atti di un processo contro la cosca Alvaro, in corso al Tribunale di Palmi. È stato il pm Giulia Pantano a decidere di depositare quei verbali che risalgono al 2016.
Mandante e movente
Secondo Canale i presunti esecutori avrebbero risposto agli ordini di Pino Piromalli detto “lo sfregiato” «ora detenuto a Marassi». Il pentito precisa che si tratta di appartenenti alla ‘ndrina dei Macrì, che è «alleata con i Piromalli». «Pino Piromalli – prosegue Canale – è il proprietario del distributore (intestato a terzi) e del terreno, su cui è ubicato il motel, in cui sono seppelliti i cadaveri di lupara bianca e delle faide Raso-Facchinetti e Imerti-Condello contro i De Stefano». Ma Pino Piromalli è anche «il proprietario del fondo dove è stato edificato il centro Annunziata». E ci sarebbe proprio l’attività dell’imprenditore dietro la decisione di eliminare il capo della cosca Molè. «Rocco Molè morì – spiega Canale – perché ha posto dei limiti all’espansione dell’imprenditore Alfonso Annunziata, uomo dei Piromalli. Voglio dire che è stato proprio Antonio Macrì a raccontarmi in cella a Cremone di essere coinvolto nell’assassinio di Molè. Preciso però che Antonio Macrì quel giorno non era a Gioia Tauro e quindi non è l’esecutore materiale». Il pentito ricorda come grazie ad un brigadiere in servizio a Siracusa lui riuscisse a parlare con Massimo Bevilacqua e Carmelo Bevilacqua, mentre dichiara di non conoscere Luciano Macrì. Canale svela anche alcuni particolari relativi al periodo di organizzazione del delitto: «Massimo Bevilacqua detto “giacchetta” faceva spesso la spola in Calabria per fare sopralluoghi, in automobile”. Fu Massimo Bevilacqua il killer mentre Luciano Macrì fungeva da palo». A dimostrazione del suo rapporto con Bevilacqua e Macrì, Canale fa riferimento a «copiosa corrispondenza intercorsa quando eravamo in carceri differenti e io fui spostato a Pavia».
Accuse tutte da dimostrare quelle mosse da Canale nei confronti dei presunti esecutori e mandanti del delitto Molè. Ma di certo si tratta di una pista investigativa su cui già da tempo stanno lavorando forze dell’ordine e magistratura. Bisognerà vedere quali saranno i riscontri alle parole del collaboratore.