Pena convalidata per i fratelli Giuseppe e Salvatore Patania. Trent’anni di reclusione invece per Saverio Patania
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Due condanne all’ergastolo e una a 30 anni di reclusione. Questa la sentenza della Cassazione nei confronti degli imputati per il tentato omicidio e poi per l’omicidio di Giuseppe Matina, detto “Gringia”, di Stefanaconi. Il processo in primo grado si è svolto con rito abbreviato che ha consentito lo sconto di pena pari ad un terzo in caso di condanna. “Sconto” che in questo caso è valso solo la mancata condanna all’isolamento diurno per gli imputati ai quali è stato inflitto il carcere a vita. Ergastolo confermato (così come deciso in appello) per i fratelli: Giuseppe Patania (cl. ’80) e Salvatore Patania (cl. ”78), mentre Saverio Patania (cl. ’76) è stato condannato a 30 anni di reclusione. Sono tutti figli di Fortunato Patania. Per quanto riguarda invece Nicola Figliuzzi, di Sant’Angelo di Gerocarne, collaboratore di giustizia, già in appello era stato condannato a 11 anni e 6 mesi di reclusione in luogo dei 20 anni del primo grado di giudizio.
Il tentato omicidio
I Patania erano tutti accusati del tentato omicidio di Giuseppe Matina, commesso a Stefanaconi il 27 dicembre 2011, mentre Figliuzzi avrebbe partecipato alle riunioni, unitamente ai mandanti, in cui è stato pianificato l’agguato poi non andato a buon fine per cause indipendenti dalla volontà degli autori. Quali esecutori materiali del tentato omicidio di Giuseppe Matina – all’epoca marito di Loredana Patania, nipote di Fortunato Patania e poi passata con lo schieramento dei cugini e della zia Giuseppina Iacopetta – venivano indicati Cosimo Caglioti di Sant’Angelo di Gerocarne, parente dei Patania, e Francesco Lopreiato, per i quali si è proceduto con un separato giudizio unitamente a Alex Loielo, pure lui di Sant’Angelo di Gerocarne, e Alessandro Bartalotta che avrebbe avvertito – secondo l’accusa – i componenti del gruppo di fuoco dell’arrivo della vittima che si trovava a bordo della propria Fiat 500 lungo la strada provinciale “Stefanaconi-Varì”. Agli imputati veniva contestata anche l’accusa di detenzione illegale del fucile caricato a pallettoni con il quale è stato compiuto il tentato omicidio. L’ultima accusa riguardava il furto dell’autovettura, una Fiat Panda, usata per il fallito agguato.
L’omicidio di “Gringia”
Giuseppe Matina, detto “Gringia”, è stato poi ucciso il 20 febbraio 2012 e quali mandanti del delitto erano accusati i tre fratelli Patania, mentre Figliuzzi avrebbe avuto il compito di fornire ai killer il furgone usato per l’azione di fuoco. L’omicidio sarebbe stato portato a termine da Arben Ibrahimi (killer macedone poi passato fra le fila dei collaboratori di giustizia) e Cristian Loielo, di Sant’Angelo di Gerocarne. Francesco Lopreiato e Andrea Patania avrebbero invece avuto il compito di recuperare i killer dopo l’azione di fuoco per portarli in un luogo sicuro. Le armi per l’agguato sarebbero state invece fornite da Damiano Caglioti, di Sant’Angelo di Gerocarne.
Per Arben Ibrahimi, Cristian Loielo, Francesco Lopreiato, Andrea Patania e Damiano Caglioti, la Dda di Catanzaro ha ritenuto di procedere separatamente con un giudizio immediato. Anche in questo caso agli imputati vengono contestate le accuse di concorso in furto dei mezzi usati per l’omicidio e la detenzione delle armi usate per uccidere Giuseppe Matina.
Le parti offese
Parti lese del tentato omicidio e dell’omicidio di “Gringia” vengono indicati la moglie Loredana Patania e gli altri familiari della vittima ovvero Domenico, Nazzareno e Caterina Matina (assistiti dall’avvocato Giovanna Fronte).
Sebbene il fatto di sangue (omicidio e tentato omicidio di Giuseppe Matina) faccia parte della più vasta inchiesta denominata “Gringia” e si inquadri nella “guerra di mafia” che ha visto contrapposti i Patania al clan di Stefanaconi che sarebbe capeggiato da Emilio Bartolotta – oltre ad altra faida che ha visto opposti i Patania al clan dei Piscopisani – , la Dda di Catanzaro ha scelto di frazionare in diversi tronconi processuali quella che appare come un’unica indagine retta da un unico filo-conduttore. In Corte d’Assise a Catanzaro è stato così celebrato il processo denominato “Gringia” in cui vengono contestati altri fatti di sangue ai medesimi imputati, mentre per l’associazione mafiosa si è preferito procedere con una distinta operazione denominata “Romanzo criminale”.