«Filippo è vittima di una guerra di ‘ndrangheta contrassegnata da una importante sequela di omicidi». Lo sa bene l’avvocato Michele Gigliotti che da anni si batte accanto alla famiglia Ceravolo nella richiesta di giustizia per la morte di Filippo, vittima innocente, a 19 anni, di un agguato di mafia che non era diretto a lui.

Una faida sanguinosa che, soprattutto tra il 2012 e il 2014, ha coinvolto le cosche vibonesi Loielo ed Emanuele. Il potere mafioso è rimbalzato tra un clan e l’altro a colpi di calibro 12. Ad aprile 2002 vengono uccisi i fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo e il dominio sul territorio delle Preserre vibonesi passa agli Emanuele.

La raffica di agguati nel 2012

La faida si scatena nuovamente nel 2012, quando vengono tratti in arresto i fratelli Bruno e Gaetano Emanuele e l’egemonia torna in capo alla consorteria dei Loielo.

Gli agguati si susseguono a raffica: ad aprile c’è il tentato omicidio di Giovanni Emmanuele a Sorianello, a giugno l’omicidio di Antonino Zupo a Gerocarne, a settembre l’omicidio di Domenico Ciconte a Sorianello, il 25 ottobre l’omicidio di Filippo Ceravolo e il tentato omicidio di Domenico Tassone (vero bersaglio dei killer) lungo la strada che li riportava a Soriano Calabro, ad aprile 2013 l’omicidio di Salvatore Lazzaro, a luglio 2014 il tentato omicidio di Valerio Loielo.

I sospetti sull’auto dei fiancheggiatori

La ‘ndrangheta ha colpito il figlio di un innocente commerciante di dolciumi. Il ragazzo, dopo una serata con la sua ragazza, stava tornando a casa: aveva promesso al padre che avrebbero guardato insieme la partita della Juventus. Per il rientro aveva chiesto un passaggio a Domenico Tassone. Ma, in agguato all’interno della vegetazione, si erano celati i killer, in attesa dell’arrivo dell’auto di Tassone. Avevano previsto una postazione di osservazione e un percorso per uscire sulla strada al momento del raid.

Filippo muore, Tassone resta ferito ma le sue dichiarazioni non consentono di identificare i killer. Alcuni testimoni raccontano di una Fiat Punto con due persone a bordo che ha sostato per diverso tempo a circa 250 metri dal luogo dell’agguato e che è ripartita «frettolosamente», dopo l’esplosione di alcuni colpi d’arma da fuoco, dirigendosi verso la strada provinciale 60. Probabilmente per recuperare gli assassini.

I messaggi con due esponenti dei Loielo

Le dichiarazioni vengono avvalorate dalle immagini di una telecamera comunale che riprende la Fiat Punto ferma e che riparte «pochi istanti prima dell’agguato» dirigendosi verso l’incrocio con la sp 60.

Inizialmente i sospetti della Dda di Catanzaro cadono sui due passeggeri della Fiat Punto, due ragazzi che all’epoca dei fatti avevano 24 e 23 anni. I due erano stati fermati a un posto di blocco, poche ore prima dell’omicidio, proprio a bordo dell’auto incriminata. Non solo. Nella stessa giornata avevano avuto contatti con due esponenti della cosca Loielo. C’era stato un messaggio nei minuti precedenti all’agguato: «Undi coz du minuti». Risposta: «Ok». Inoltre l’utenza telefonica di uno dei due aveva agganciato la stessa cella della fidanzata di Tassone nei momenti in cui questa rientrava a casa separandosi dal fidanzato.

Prove troppo labili

Il sospetto sui fiancheggiatori, per quanto forte, non è tale da inserirsi nell’alveo di una prova granitica. Quello che sappiamo è che quando due carabinieri della Stazione di Vazzano sono giunti sul posto sono stati investiti dalle urla dei parenti di Tassone: «Siete arrivati troppo tardi. Lo hanno già portato via». Inutili i tentativi di prendere le generalità dei presenti «a causa del forte stato di agitazione in cui versava la folla» che inveiva con rabbia contro i militari per poi disperdersi in pochi minuti a bordo delle proprie automobili. Sul posto restava solo la macchina di Tassone crivellata di colpi. Mentre Filippo, ferito gravemente al volto, moriva nel percorso verso l’ospedale.

Domani ricorreranno i 12 anni dalla morte del 19enne. Una messa e una celebrazione lo ricorderanno a Soriano Calabro. Verranno anche consegnati dei riconoscimenti alle autorità di Vibo: al prefetto Giovanni Paolo Grieco, al questore Rodolfo Ruperti, al procuratore Camillo Falvo e al giornalista Rai Riccardo Giacoia.