Dalle voci di un colloquio intercettato in carcere vengono a galla nuove minacce del boss di Limbadi Pantaleone Mancuso nei confronti di Marisa Manzini proprio mentre lo Stato ha ridimensionato la scorta del magistrato, ridotta dal secondo al terzo livello. La novità è emersa durante l’ultima udienza del processo, in corso di svolgimento a Salerno, nel quale il boss detto anche Scarpuni, deve rispondere dell’oltraggio commesso ai danni della procuratrice durante il procedimento Black Money, quando esclamò all’indirizzo della rappresentante dell’accusa: «Fai silenzio ca parrasti assai». La frase, colma di impudenza, è poi diventata anche il titolo di un libro edito da Rubbettino, nel quale l’aggiunto di Cosenza, oggi consulente della Commissione parlamentare antimafia, racconta storie di coraggio e di impegno civile, di chi ha rotto il muro dell’omertà per consentire agli inquirenti di inchiodare capi bastone e gregari delle cosche. Le nuove rivelazioni emerse in aula a Salerno si scontrano con l’alleggerimento del sistema di protezione della Manzini. La paradossale vicenda è stata tra i argomenti chiave dell’iniziativa Legalità e Sviluppo del Territorio, organizzata nella Casa della Musica di Cosenza dall’istituto scolastico Lucrezia della Valle, a margine della quale il magistrato ha rilasciato alcune dichiarazioni alla stampa: «Le minacce? Come magistrato metto in conto che possano capitare cose del genere. Ma continuo con passione a fare il mio lavoro»

La lotta per la verità di Salvatore Borsellino

Oltre al magistrato ed al Presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, davanti alla platea gremita di giovani si sono alternati nell’appuntamento introdotto dalla dirigente scolastica Loredana Giannicola e coordinato da Antonietta Cozza, vecchi e nuovi protagonisti della lotta al crimine organizzato. Ospiti dell’iniziativa Sara Scarpulla, madre di Matteo Vinci, ucciso da un’autobomba per non essersi piegato alla tracotanza delle cosche, il testimone di giustizia Gaetano Saffioti e Salvatore Borsellino che 27 anni dopo la strage di Via D’Amelio non ha ancora smesso di combattere per la verità. «Mio fratello Paolo sacrificato in nome della trattativa con la mafia» ha detto. Lo abbiamo intervistato

 

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