Dal racconto del collaboratore di giustizia Vincenzo Cristiano che gli inquirenti ritengono profondo conoscitore della criminalità locale, emerge il modus operandi delle cosche per spartirsi il potere tra droga, armi ed estorsioni
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È un territorio soffocato dalla ‘ndrangheta quello che emerge dalle carte dell’indagine “Nuova linea” che ha inferto un duro colpo alla cosca Nasone-Gaietti di Scilla. Ma a venire fuori è un quadro molto più articolato che coinvolge diversi territori dell’area dello Stretto.
Un’articolazione complessa che ha esteso e mantenuto i rapporti anche con la locale di Villa San Giovanni. Ed è stato il collaboratore di giustizia Vincenzo Cristiano, che gli inquirenti indicano come «profondo conoscitore della ndrangheta villese in quanto già affiliato a quella stessa organizzazione mafiosa», ad aver fatto riferimento ai rapporti privilegiati intessuti dai fratelli Scarfone, con gli esponenti della mafia di Scilla. «I gemelli Scarfone – ricordano gli inquirenti – costituiscono il braccio armato ed operativo della cosca Bertuca. Essi infatti si muovono sul territorio per eseguire danneggiamenti e per porre in essere le estorsioni programmate dai vertici dell’associazione».
Il traffico di droga
Il pentito, in merito ai collegamenti tra le due cosche, ha riferito: «Per ciò che concerne il traffico di stupefacenti ed eventuali collegamenti con il Comune di Scilla, posso dire che i gemelli Scarfone (che trafficavano droga) erano originali di Scilla ed avevano rapporti con i Gaietti tanto che mi presentarono Matteo Gaietti che io sapevo essere esponente di spicco della locale di Scilla».
L’operatività dell’associazione è stata fotografata in diverse vicende estorsive che evidenziano come il presunto boss Giuseppe Fulco, tornato a Scilla per assumere le redini e il controllo della locale di ‘ndrangheta, avrebbe mantenuto contatti affinché “gli affari” procedessero in modo lineare anche varcando i confini territoriali. Emblematica è «la tentata estorsione nei confronti di un imprenditore scillese impegnato nell’esecuzione dei lavori per la riqualificazione dei marciapiedi di Via Nazionale Acciarello. In particolare, è emerso dalle intercettazioni che l’imprenditore non avesse adempiuto ai suoi “doveri” nei confronti della ‘ndrangheta di Villa San Giovanni, territorialmente competente a riscuotere il pizzo nei confronti degli imprenditori operanti in quel contesto geografico».
L'imprenditore taglieggiato
Dalle carte emerge come «l’indagato Rocco De Lorenzo (cugino della persona offesa) riferisse a Giuseppe Fulco di essere stato avvicinato, quella stessa mattina, da Alberto Scarfone, con il quale aveva accennato ad una questione: “De Lorenzo 82: siccome si sono avvicinati lì da Villa e mi banno chiamato… Fulco: Chi? (…) De Lorenzo: Persone! E Albertino! (…) Oggi a mezzogiorno! (..) … di non andare a parlare con mio cugino”. Si comprendeva che la questione aveva ad oggetto la consegna di denaro che l’imprenditore doveva ai soggetti di Villa San Giovanni. De Lorenzo precisava che i villesi erano già a conoscenza dei particolari dell’appalto e auspicavano che, senza ulteriori trattative, gli esponenti della ‘ndrangheta di Scilla si facessero solo latori delle somme loro consegnate dall’imprenditore vessato».
I metodi estorsivi e di spartizione delle competenze sui territori, vengono fuori in diverse occasioni riportate nell’indagine “Nuova Linea” e lasciano trasparire la volontà di Fulco di non incrinare i rapporti. Infatti, Fulco «si impegnava a intervenire presso l’imprenditore, inducendolo al pagamento di quanto loro chiesto dallo Scarfone». E nelle conversazioni captare, scrivono i giudici, Fulco palesa «il suo ruolo di vertice, qualificandosi come l’unico legittimato a risolvere la faccenda! Fulco: fai parlare a me con lui o con Nino, ma poi se qualcosa, poi sempre con me deve parlare».
«Scarfone insisteva nel chiedere il versamento anche in ragione del dovere di solidarietà nei confronti del fratello detenuto, a riprova della connotazione illecita della pretesa nei confronti del De Lorenzo. “Scarfone: Peppe, ti sto dicendo che li ho rimessi personalmente! (…) Fammeli recuperare in qualche modo! (…) Glieli stai cacciando dalla bocca a mio fratello. Fulco: No, non dire così!(. ..) Te li recupero io non ti preoccupare».
E questo è solo un piccolo spaccato, che emerge dal racconto dei fatti delineato dalla magistratura, di un modus operandi che le cosche della costa tirrenica reggina, avrebbero portato avanti nella gestione del territorio, spartendosi il potere e il predominio tra droga, armi ed estorsioni.