Reginald Green riabbraccia una parte di suo figlio a ventiquattro anni dalla sua morte. Maria Pia lo ricambia tra lacrime e carezze: grazie al fegato del suo piccolo Nicholas lei ha avuto una seconda possibilità.

 

La Calabria, che fu luogo di tragedia diventa scenario di un abbraccio commosso e pieno di vita. La vita che ha abbandonato un corpicino di 7 anni ma che, grazie ad un gesto di generosità, si è trasformata in rinascita per altre sette persone. La vita che ancora scorre nelle vene di Maria Pia, grazie a quel trapianto di fegato ricevuto in dono dalla famiglia Green. Apparteneva al loro piccolo Nicholas, vittima innocente di una sparatoria sulla Salerno-Reggio Calabria nel 1994. Quando lo ricevette era una ragazza di 19 anni colpita da un’epatite fulminante. «Giorno dopo giorno stava morendo. Oggi è una donna e ha due figli che non sarebbero mai nati senza di lei. Così noi sentiamo che la decisione che abbiamo preso riguardo la donazione degli organi di Nicholas sta continuando ad andare avanti» - ci racconta Reginald Green, papà del piccolo.

 

Reginal abita in California, si trova a Rosarno per ricevere il premio Valarioti–Impastato in memoria del figlio. Maria Pia dalla Sicilia lo raggiunge in Calabria non appena viene a conoscenza dell’evento al Liceo Scientifico R. Piria: «Spinta da una voglia irrefrenabile di abbracciare Reg Green, certa che nel calore del mio abbraccio lui percepisca la presenza viva del suo amato figlioletto. Grazie alla generosità della famiglia Green ho avuto una vita che sa di favola, con tanto di lieto fine» - spiega in una lettera che legge pubblicamente di fronte al pubblico presente alla manifestazione. Poi l’abbraccio commosso.

 

«Non mi sarei mai aspettato che la storia di Nicholas sarebbe finita così. Ma se penso a tutte le persone che muoiono ogni giorno penso che la morte di Nicholas abbia avuto un senso» - dice ai nostri microfoni Reg Green.  «Dopo quello che è accaduto le donazioni di organi in Italia sono triplicate, nessun altro paese al mondo c’è andato così vicino. Questo è il “Nicholas effect”. Le persone a cui sono andati gli organi di Nicholas, come Maria Pia, sono forti e in salute. È stata una rivoluzione far capire alla gente che le persone dopo un trapianto possono ritornare in salute».

 

E così ci racconta il legame con Maria Pia, tornata alla vita grazie al fegato di Nicholas. Come gli altri riceventi anche lei si è tenuta costantemente in contatto con la famiglia Green, informandoli subito della volontà di chiamare il suo primogenito proprio Nicholas. «È stata la prima cosa che ho saputo riguardo al suo bambino. L’ho visto crescere. Quando era davvero piccolissimo, per distinguerli, chiamavano mio figlio “il grande Nicholas” e lui era “il piccolo Nicholas”. E adesso Nicholas è diventato un ragazzo molto alto mentre il mio Nicholas è rimasto piccolo» - ci dice Reginald commosso.

 

Per i calabresi non ha alcun risentimento, anzi. «Tanta la solidarietà che abbiamo ricevuto dai calabresi. Era chiaro che ognuno di loro avrebbe fatto il possibile per salvare la vita di Nicholas se avesse potuto. Possiamo dire che i calabresi hanno vissuto una sorta di agonia per la morte di Nicholas avvenuta per mano di uno di loro, un corregionale».

 

E oggi si batte ancora, nonostante i suoi 90 anni, per un’altra causa: la modifica della legge italiana che impedisce alle famiglie dei donatori di conoscere l’identità dei riceventi. Perché in nome della privacy impedire un abbraccio come quello tra lui e Maria Pia?