Sono sopravvissuti alla furia del mare e all’ingordigia degli uomini che li hanno stipati in un caicco. Forse però non sopravvivranno alla complessa burocrazia italiana. Sono i sopravvissuti alla strage di Steccato di Cutro avvenuta lo scorso 25 febbraio, che hanno deciso di rimanere in Calabria anche per testimoniare nel processo contro gli scafisti. Erano partiti in 180 dalle coste della Turchia, su quel barchino improbabile. Solo 81 sono sopravvissuti. Una cinquantina, però, hanno chiesto e ottenuto di essere trasferiti in Germania dopo pochi giorni. Gli altri sono ancora qui, affidati alle cure delle associazioni del territorio.

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Il naufragio di Cutro e la pessima gestione da parte del Governo aveva indotto il presidente del consiglio, Giorgia Meloni, a convocare i familiari dei superstiti a Montecitorio e promettere loro che presto ci sarebbe stato il ricongiungimento familiare. Nelle stesse ore i sopravvissuti venivano convocati in Questura a Crotone per elencare i parenti con i quali volevano ricongiungersi. Quasi tutti, di fronte alla promessa dello Stato, erano certi che presto avrebbero riabbracciato i loro cari.

Difficile che oggi avvenga, paradossalmente proprio a causa del “Decreto Cutro”«Paradossalmente quel decreto, nato sull’ondata emotiva scaturita da quanto successo qui, anziché allargare le maglie dell’accoglienza le restringe notevolmente, andando ad abolire una serie di protezioni», ci dice Francesca Rocca della cooperativa sociale Agorà Kroton che si occupa della seconda accoglienza di queste persone.

Sono tutte giovanissime, il più “vecchio” ha  35 anni. La cooperativa ha dato loro un tetto dove vivere e sta cercando di arrivare al loro inserimento socio-lavorativo: c’è chi sta studiando italiano, chi segue corsi di formazione regionale per diventare piastrellista, chi fa l’aiuto cuoco in un ristorante sul lungomare. Il problema è che dopo aver registrato l’elenco dei parenti, le commissioni territoriali hanno accordato a queste persone la protezione per “casi speciali”, un particolare permesso di soggiorno che difficilmente verrà convertito in permesso di lavoro. E proprio il decreto Cutro, quello firmato dal governo dopo la strage, rende quel tipo di permesso non convertibile. Eppure questo è fondamentale per i ricongiungimenti.

«Questa scelta della commissione territoriale è stata una doccia fredda per loro - continua la Rocca - perché mai avrebbero pensato che quelle promesse del Governo erano fasulle. Fra l’altro è vero che in Pakistan non c’è la guerra, ma queste persone arrivano da zone del paese che sono interamente controllate dai talebani, scappano da situazioni che noi non possiamo nemmeno immaginare. Fra due anni, quindi, il permesso dovrà essere rinnovato con lunghe code legali, in caso di mancato rinnovo, che faranno restare queste persone in un limbo burocratico per anni. Così facendo temo che alcuni di loro potrebbero decidere di diventare irregolari».

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Il problema è che il Governo ha minacciato tolleranza zero verso gli irregolari e sta pensando di aprire i Cpr, fra cui uno proprio a Crotone. Molto probabilmente troverà sede nell’ex Cie che ha funzionato per anni ma che ora è una scatola chiusa. «Il Cie si è sempre dimostrato fallimentare. Ci sono sempre stati problemi di sovraffollamento, si sono registrati molti suicidi - conclude la Rocca - anche questa misura, l’idea che possiamo sostanzialmente mettere in reclusione persone che non hanno commesso alcun reato fino a diciotto mesi, non ci sembra la soluzione giusta al problema, anzi». Un problema dal quale l’attuale Governo sembra non riuscire a venirne a capo.