«L'insussistenza del reato appare evidente. Le risultanze probatorie acquisite prestano il fianco a molteplici rilievi, giacché contengono esclusivamente un mero principio di prova che, però, è rimasto confinato a mera suggestione». È quanto scrivono i giudici della Corte d'appello di Reggio Calabria, presieduta da Filippo Leonardo, che lo scorso settembre, su richiesta della stessa Procura generale, ha assolto l'ex senatore di Forza Italia Marco Siclari, imputato di scambio elettorale politico-mafioso nell'ambito del processo "Eyphemos" nato da un'inchiesta della Dda reggina.

Secondo i pm il politico sarebbe stato appoggiato, nelle elezioni politiche del 2018, dalla cosca Alvaro e in particolare dal presunto boss Domenico Laurendi di Sant'Eufemia d'Aspromonte.

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Le motivazioni della sentenza d'appello sono state depositate in questi giorni e hanno ribaltato la decisione del primo grado dove l'ex senatore calabrese era stato condannato a 5 anni e 4 mesi di reclusione.

I giudici della Corte d'Appello scrivono che «non sussiste alcuna prova dell'effettivo e concreto sostegno elettorale di Domenico Laurendi (e per esso della cosca Alvaro) in favore di Marco Siclari». Secondo i giudici nel fascicolo del processo «non vi è alcuna traccia» che il presunto boss «avesse concertato con gli Alvaro la decisione di sostenere Marco Siclari. Inoltre, anche a voler ritenere Laurendi effettivo sostenitore del senatore, non è comunque emerso che il procacciamento di voti fosse avvenuto con metodo mafioso».

«In buona sostanza - si legge sempre nelle motivazioni della sentenza - non può certo ricavarsi a posteriori la prova dell'accordo illecito sulla base della sola vittoria del Siclari, giacché la stessa è stata determinata da cause del tutto estranee a un presunto patto mafioso».