Un unico processo di secondo grado per le misure di prevenzione personali della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e quelle patrimoniali contro il clan Tripodi di Vibo Marina e Porto Salvo colpito con le operazioni “Lybra” del maggio 2013 e “Lybra money” del dicembre 2015.

E’ quanto deciso oggi dalla Corte d’Appello di Catanzaro che ha riunito i due procedimenti che sinora portavano numeri di ruoli differenti ed erano quindi trattati separatamente. La Corte d’Appello ha poi respinto la ricusazione del giudice consigliere, Domenico Commodaro, avanzata dalle difese nella precedente udienza in quanto lo stesso giudice, quale gup distrettuale, ha in precedenza condannato alcuni degli esponenti del clan Tripodi giudicati con rito abbreviato. Il quesito giuridico sollevato dalle difese è stato risolto dal presidente della Corte d’Appello che ha deciso per la prosecuzione del procedimento con i medesimi togati.

 

In Appello si è giunti sia per l’impugnazione da parte dei difensori, sia per quella della Procura distrettuale.

 

I difensori, dal canto loro, hanno invece impugnato la decisione del Tribunale di Vibo Valentia che nel dicembre 2015 ha disposto: 5 anni di sorveglianza speciale per il presunto boss Nicola Tripodi; 4 anni e 6 mesi di sorveglianza per Antonio Mario Tripodi; 4 anni per Sante Tripodi; 4 anni per Salvatore Vita e Francesco Comerci, il primo di Vibo Marina, il secondo di Nicotera; 3 anni per Massimo Murano di Busto Arsizio.

 

I beni sequestrati. Fra i beni sequestrati di cui si discute in Appello la confisca vi sono 13 aziende, tra cui alcuni bar e ristoranti nel centro di Roma (“il Ritrovo la Dolce Vita”) e in provincia di Milano, e imprese edili operanti a Milano, Padova, Roma e Vibo Valentia, quote di società operanti in provincia di Bologna, Roma e Vibo Valentia, 31 immobili, di cui 10 fabbricati di pregio in Milano e Roma e 21 terreni ubicati in parte in provincia di Roma ed in parte in quella di Vibo Valentia, 13 tra automezzi industriali ed autoveicoli. Il valore complessivo dei beni confiscati ammonta a circa 37 milioni di euro.

 

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Giuseppe Baglivo