La donna legata al collaboratore di giustizia chiamata a testimoniare nell’ambito del processo in corso a Reggio Calabria parla dei continui maltrattamenti che avrebbe subito
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«Mi ha picchiato, mi alzava le mani e mi ha pure detto una volta che voleva uccidermi». Lo ha detto tra le lacrime alla Corte d’Assise di Reggio Calabria e al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, Laila Taoui, l'ex compagna del collaboratore di giustizia Nino Lo Giudice. La donna è stata chiamata a testimoniare dalla Dda nell’ambito del processo “’Ndrangheta stragista” che vede alla sbarra Giuseppe Graviano, boss del mandamento palermitano di Brancaccio e Rocco Filippone, di 77 anni, di Melicucco, indicato dagli inquirenti come esponente di spicco della potente cosca Piromalli di Gioia Tauro. Entrambi sono accusati di essere i mandanti degli agguati in cui morirono i carabinieri Antonio Fava e Giuseppe Garofalo e dei tentati omicidi dei carabinieri Vincenzo Pasqua, Silvio Ricciardo, Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra, eseguiti da due giovanissimi killer della cosca di 'ndrangheta dei Lo Giudice, Giuseppe Calabrò e Consolato Villani.
La donna, di origini marocchine, è da molti anni legata a Nino Lo Giudice, alias il “nano”, e ha vissuto sia l’arresto del compagno che la decisione di collaborare con gli inquirenti negli anni scorsi. Una collaborazione costellata da diversi passi indietro e memoriali controversi in cui Logiudice ha anche tirato in ballo diversi esponenti della magistratura e delle istituzioni. Secondo quanto riferito oggi in aula dalla donna dopo un inizio “tranquillo” della relazione fra i due il “pentito” avrebbe usato violenza fisica nei suoi confronti in alcune occasioni durante la loro convivenza a Macerata, la località individuata per la loro protezione . «Ho provato anche a scappare - ha affermato - ma me l’ha impedito».
In un’occasione in particolare, secondo il suo racconto, la giovane era uscita con delle amiche e avrebbe ricevuto una telefonata da parte del Lo Giudice il quale infastidito le avrebbe intimato di far rientro a casa. «Era geloso, mi ha dato degli schiaffi, era nervoso e agitato. Ho riportato dei lividi e ho avuto la faccia gonfia». Questo episodio sarebbe avvenuto prima di una trasferta romana del collaboratore che doveva essere sentito dagli inquirenti, ma le violenze sarebbe continuate anche tre giorni dopo da questo interrogatorio, intorno all’anno 2012. In un’altra occasione- ha riferito sempre la donna- sarebbe nato un litigio tra i due molto violento dove «voleva uccidermi e sono scappata; quella sera ho dormito a casa da una mia amica e lui è uscito “pazzo” per questo e ha chiamato anche mia sorella per farmi tornare».