«Questo processo sarà una pietra miliare nel panorama giudiziario che riscriverà la storia». È toccato al sostituto Walter Ignazitto, dopo l’introduzione del procuratore Giuseppe Lombardo, contestare i motivi d’Appello depositati dai legali di Graviano e Filippone, sotto il profilo della procedura penale e sui diritti della difesa. Il processo ‘Ndrangheta stragista, arrivato ormai alle battute finali, è scaturito dal duplice omicidio degli uomini dell’Arma, nel corso del dibattimento, lungo quasi dieci anni, ha ricostruito il ruolo della ‘Ndrangheta nel quadro dell’attacco allo Stato negli anni ‘90 deciso da Totò Riina. 

Stamane in aula, per la requisitoria, era presente Ivana Fava, figlia del maresciallo Antonino Fava, caduto con il collega Vincenzo Garofalo mentre pattugliavano la corsia sud della Salerno - Reggio Calabria. Quel pomeriggio del 18 gennaio 1994, l’Alfa 75, con a bordo i militari fu affiancata da una Fiat Punto su cui viaggiavano Consolato Villani, allora minorenne, poi diventato collaboratore di giustizia, e Giuseppe Calabrò, nipote di Rocco Santo Filippone. Fu proprio Giuseppe Calabrò ad aprire il fuoco contro la ‘gazzella’ dell’Arma con un mitragliatore Beretta M12, un rosario di colpi che uccise i due carabinieri. 

Dopo l’intervento tecnico, Lombardo ha ripreso la requisitoria. Un intervento strutturato per riportare alla luce «verità che sia in grado di restituire il tempo perduto tra meandri di depistaggi». Il riferimento di Lombardo è alla la stagione stragista che si è consumata tra il ‘92 e il ‘94, e alla strategia del terrore.
E dopo diversi ritorni al passano, Lombardo ha fatto chiari riferimenti alle responsabilità di chi ha «agito per fini politici».
Lombardo lo ha ribadito con forza alla Corte: «Graviano e Filippone sono colpevoli di tutti i reati ascritti oltre ogni ragionevole dubbio».
La volontà è quella di cristallizzare «l’unitarietà della ‘Ndrangheta» e il legame con Cosa Nostra. Per farlo il procuratore ha ricordato come lo stesso Buscetta «fu mandato in Calabria dai Piromalli».

Da qui il richiamo a una delle ultime udienze di questo processo che ha fatto emergere «la doppia affiliazione» di alcune famiglie. «Non a caso per il mandamento Tirrenico ad avere la doppia affiliazione erano proprio i Piromalli e su Reggio i De Stefano».
Lombardo ha ricordato come non si tratti di «coincidenze» ma di «prove» raccontate da anni di processi.
Così il ruolo dei Piromalli nelle stragi e l’unione della ‘ndrangheta con Cosa Nostra sono diventati il fulcro di un racconto che potrebbe rimescolare la storia italiana di mezzo secolo.