Grazie al continuato di pene fra le sentenze “Dinasty”, “Batteria” e “Genesi” il capoclan di Limbadi ha lasciato il carcere
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Lascia il carcere e ritorna libero per il continuato di pena fra le sentenze nate dalle operazione antimafia Dinasty, Genesi e Batteria il boss Diego Mancuso, 66 anni, di Limbadi. Nello scorso mese di gennaio la pena da scontare era passata da 6 a 2 anni in quanto la Corte d’Appello di Catanzaro aveva accolto la richiesta di “continuato”.
Diego Mancuso era stato arrestato nel maggio 2019 per scontare una condanna definitiva a 6 anni per associazione mafiosa rimediata al termine del processo “Genesi” (in primo grado celebrato dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia). Gli avvocati Francesco Schimio e Francesco Sabatino avevano quindi presentato richiesta di “continuato” fra le due pene ed il residuo da scontare era sceso a due anni di reclusione. Oggi, quindi, il provvedimento di scarcerazione.
Nel processo “Dinasty”, Diego Mancuso è stato riconosciuto al vertice di una delle articolazioni in cui si era divisa la famiglia dopo gli arresti per l’operazione “Tirreno” (1993) della Dda di Reggio Calabria, dei boss Luigi e Giuseppe Mancuso (cl. ’49), rispettivamente zio e nipote.
Diego Mancuso (fratello di Giuseppe, alias Peppe ‘Mbroggja”) insieme al nipote Domenico Mancuso (figlio di Giuseppe Mancuso) per un dato lasso temporale avrebbe retto le sorti dell’articolazione del clan a lui facente capo, in contrapposizione all’altro ramo della famiglia che vedeva a quel tempo alleati Cosmo Michele Mancuso ed il nipote Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni”.
Dopo aver scontato la pena per “Dinasty”, all’atto della scarcerazione, Diego Mancuso ha spostato la sua residenza a Santa Maria di Ricadi. Il 15 ottobre scorso – per analogo provvedimento – ha invece lasciato il carcere ed è anche lui tornato in totale libertà Francesco Mancuso, 63 anni, detto “Tabacco”, fratello di Diego Mancuso.
Diego e Francesco Mancuso, oltre che fratelli del boss detenuto Giuseppe Mancuso (alias “’Mbrogghja”) sono anche fratelli di Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere” e di Rosaria Mancuso, quest’ultima detenuta per l’autobomba costa la vita a Matteo Vinci.