Riduzione e mantenimento in schiavitù, maltrattamenti in famiglia e usura. Questi i reati per i quali il gup distrettuale di Catanzaro – in accoglimento di una richiesta della Dda – ha disposto quattro rinvii a giudizio nell’ambito di un’indagine che vede quale vittima e parte offesa Ewelyna Pytlarz, la donna polacca moglie di Domenico Mancuso (fratello dei più noti boss Giuseppe Mancuso, 61 anni, alias “Pino Bandera”, e Pantaleone Mancuso, 60 anni, detto “Scarpuni”) divenuta dal dicembre 2013 testimone di giustizia. 

Il reato di riduzione e mantenimento in schiavitù, aggravato dalle modalità mafiose, viene contestato a Domenico Mancuso, 47 anni, ed alla madre Giulia Tripodi, 82 anni, di Limbadi, per aver costretto Ewlyna Pytlatrz a vivere in condizioni insostenibili, vietandole di avere contatti con terze persone senza preventiva autorizzazione e, comunque, sempre in regime di stretto controllo e sorveglianza. Domenico Mancuso e Giulia Tripodi avrebbero poi costretto la donna polacca a lavori defatiganti, sfruttandola nella lavorazione del pane in un forno di famiglia senza alcun rispetto per gli orari lavorativi.

La donna sarebbe stata oggetto di ripetute violenze e minacce, colpita con pugni e calci alla pancia, con l’avvertimento da parte di Giulia Tripodi che, ove si fosse ribellata, le avrebbero fatto fare la stessa fine di Santa Buccafusca (deceduta il 16 aprile 2011 ingerendo acido muriatico), ovvero la moglie di Pantaleone Mancuso, oppure le avrebbero tagliato la testa. Ewlyna Pytlatrz all’epoca era fra l’altro madre di una bambina in tenerissima età. Le contestazioni coprono un arco temporale che va dal 2006 al dicembre 2013 e vedono quali luoghi di commissione i paesi di Limbadi e Nicotera. 
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