È una vecchia storia, quasi archeologia giudiziaria, quella che emerge dagli atti dell’inchiesta Artemis, che ieri ha portato all’arresto di 59 persone tra Lametino e Vibonese. Una storia che mette nella giusta prospettiva l’odio tra clan rivali al confine tra i due territori. Da un lato i Cracolici, dall’altro i Bonavota. In mezzo un territorio conteso, l’area industriale di Maierato. Territorio dei Cracolici, almeno in teoria, se non fosse che la cosca rivale di Sant’Onofrio aveva messo gli occhi sulle imprese della zona.

Francesco Costantino, un pentito di San Pietro a Maida che ha collaborato a lungo con la Dda di Torino, racconta fin dai primi verbali lo scontro che si consuma in Calabria: «I Cracolici si facevano pagare il pizzo da tutti gli industriali che avevano i capannoni nella zona di Maierato detta La Rocca (…). A un certo punto i Bonavota hanno tentato di soppiantare i fratelli Cracolici in questa attività». Il collaboratore di giustizia spiega che i Bonavota a quel punto avrebbero puntato a espandere i propri affari al di là della Calabria: Roma e Torino. La cosca di Sant’Onofrio avrebbe avuto «l’appoggio di altre famiglie del luogo tra cui gli Arona, i Cugliari a cui erano legati da legami di parentela acquisiti anche mediante matrimoni». Il placet per organizzare gli agguati ai danni dei Cracolici sarebbe arrivato ai Bonavota ­– sempre secondo Costantino – dalla famiglia Mancuso, «che è la famiglia più potente e non solo della zona ma in tutta la Calabria con ramificazioni a Milano».

L’ipotesi è che i Cracolici avesse iniziato a diventare «scomodi» per i Mancuso perché avrebbero smesso di versare alla ’ndrina di Limbadi una quota delle estorsioni. Questa frattura precede gli agguati ai danni di Raffaele e Alfredo Cracolici: due morti alle radici dell’odio. Dopo quelle eliminazioni, il clan di Maierato avrebbe voluto vendicarsi. Costantino ne racconta i propositi in un vecchio interrogatorio che richiama alla mente altre stragi avvenute fuori dalla Calabria: contro i Bonavota sarebbe stata progettata un’azione simile alla strage di Duisburg, qualche anno prima dell’eccidio avvenuto in Germania.

«Nel dicembre 2002-gennaio 2003 – dice il pentito – a Moncalieri era stata pianificata una sparatoria con lo scopo di uccidere tutti i componenti della famiglia Bonavota. La sparatoria sarebbe dovuta avvenire in un bar sito a Moncalieri». Il locale era di un socio di Pasquale Bonavota: «Il mio compito – parla ancora Costantino – era quello di osservare che tutti i Bonavota si incontrassero al bar, quindi avrei dovuto telefonare a Francesco Cracolici, il quale si sarebbe recato subito a Moncalieri da Trecate dove viveva e lavorava (…) con delle mitragliette per agire e sparare». Sarebbe stata una vendetta per l’omicidio di Alfredo Cracolici. Gli appostamenti iniziano ma «di quella sparatoria non se ne fece nulla in quanto al momento buono io telefonati a Francesco Cracolici a Novara per farlo venire a Moncalieri con le armi ma egli non si fece trovare e poi spiegò che aveva cambiato idea decidendo di non agire perché non voleva mettere a repentaglio l’attività economica messa in piedi in Lombardia e la stessa famiglia». Costantino prende atto ma resta deluso del fatto che si possano preferire gli affari alla vendetta.

Accade al Nord. Nel profondo Sud, invece, il piano per eliminare uno dei presunti autori dell’agguato ai danni di Alfredo Cracolici procede. Protagonista è sempre Costantino che risponde affermativamente alla (presunta) sollecitazione del clan, nei confronti del quale sentiva di avere «un debito di riconoscenza». C’è l’auto – un’Alfa 147. C’è una villa in campagna da usare come base per progettare il piano. Ci sono, ovviamente, indicazioni sulla vittima: «Cracolici sapeva i nomi dei killer del fratello».

L’agguato era stato pianificato nei minimi dettagli, «tuttavia, prontezza di riflessi della vittima, questi riuscì a darsi alla fuga, seppur ferito a una gamba dai colpi di arma da fuoco». Dopo il fallimento, «Costantino fu ospitato e nascosto per alcuni giorni da una famiglia di Lamezia Terme vicino ai Cracolici» e Francesco Cracolici, che aveva partecipato al tentativo assieme a lui, avrebbe trovato rifugio a Milano. Sfuma la vendetta e con essa la promessa fatta al futuro collaboratore di giustizia: «Mi promisero che, a operazione conclusa, avrei ricevuto 500mila euro e un terreno che mi stava a cuore a Maierato».