REGGIO CALABRIA - La ‘ndrangheta aveva la sua banca. Una banca gestita dal gotha delle cosche reggine e della piana di Gioia Tauro. Dai Condello, i De Stefano, i Tegano, gli Imerti e i Buda di Reggio Calabria, ai Pesce e i Bellocco di Rosarno. Tutti insieme a fare sinergia in nome degli affari e degli euro. Per loro la crisi economica era un’opportunità da sfruttare, un nuovo business per accrescere le risorse finanziarie provenienti dalle attività illecite. Era una necessità invece per gli imprenditori calabresi e milanesi costretti a bussare alle porte della ‘ndrangheta banking (questo il nome in codice che i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Reggio Calabria hanno dato all’operazione) per evitare lo spettro del fallimento e provare a superare le difficoltà. Una mera illusione che si trasformava in un incubo. Un tunnel senza via d’uscita. Il contratto prevedeva, infatti, tassi usurai del 20% mensile abbinate ad ulteriori garanzie vessatorie. Chi non rispettava gli accordi, non restituendo il prestito, diventava moroso e finiva nel vortice delle intimidazioni, spogliato dei propri beni, quote societarie e immobili, anche di pregio. Un sistema svelato dall’indagine coordinata dalla Dda di Reggio Calabria che ha portato all’arresto di 17 persone, 12 in Calabria, 5 a Milano.

 

Le accuse. A vario titolo le accuse vanno dall’associazione mafiosa, all’usura, dall’estorsione all’esercizio abusivo dell’attività creditizia fino all’intestazione fittizia di beni. Tutto  aggravato dalle finalità mafiose. Contestualmente all’esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip del tribunale di Reggio Calabria, sono state sequestrati anche beni aziendali e quote societarie per un valore di otto milioni di euro.

 

Figura chiave. Figura centrale dell’inchiesta, colui che per gli inquirenti gestiva materialmente il sistema e procacciava imprenditori in difficoltà, era Gianluca Favara, 47 anni, imprenditore nel settore  della distribuzione per alberghi e titolare di una lavanderia, ben conosciuto dalla Dda di Reggio e dalla Dia di Milano perché coinvolto in altre inchieste anti-mafia. Secondo le indagini era lui a proporre i prestiti usurai agli operatori economici in difficoltà, ignari di aver stipulato un vero e proprio patto con il diavolo.