Cinque richieste di condanna e due assoluzioni sono state chieste dal pm della Dda di Catanzaro, Andrea Buzzelli, nel processo che mira a far luce sulle responsabilità legate alla latitanza di Giuseppe Mancuso, 35 anni, di Nicotera, figlio del boss della ‘ndrangheta Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”, e sulle pressioni per far recedere Emanuele Mancuso (fratello di Giuseppe) dal collaborare con la giustizia. La requisitoria del pm della Dda si è conclusa dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, presieduto dal giudice Tiziana Macrì, nel procedimento penale in cui il collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso figura quale parte civile (assistito dall’avvocato Antonia Nicolini) contro i suoi stessi familiari (padre, madre e sorella).

Queste le richieste del pm: 3 anni e 6 mesi per Pantaleone Mancuso, di 60 anni, detto “l’Ingegnere” (padre di Giuseppe ed Emanuele); assoluzione per Giuseppe Pititto, di 29 anni, di Mileto; 2 anni e 6 mesi per Rosaria Del Vecchio, di 56 anni, di Nicotera; 3 anni e 6 mesi per Giovanna Del Vecchio, di 53 anni, di Nicotera (madre di Giuseppe ed Emanuele Mancuso e moglie di Pantaleone Mancuso detto “l’Ingegnere”); assoluzione per Antonino Maccarone, di 34 anni, di Limbadi; 2 anni e 6 mesi per Desiree Mancuso, di 29 anni, di Nicotera (sorella di Emanuele Mancuso); 7 anni per Giuseppe Mancuso, di 35 anni, di Nicotera (fratello di Emanuele).

Ricettazione, detenzione e porto in luogo pubblico di armi è il reato che viene contestato a Giuseppe Mancuso in relazione ad una pistola con matricola abrasa ed una carabina con relative munizioni rinvenute a Zaccanopoli il 27 novembre 2019. Evasione degli arresti domiciliari è l’ulteriore reato contestato a Giuseppe Mancuso, anche questo aggravato dalle modalità e dalle finalità mafiose.

Giuseppe Mancuso contro il fratello

Violenza privata e favoreggiamento personale (aggravati dal metodo mafioso) sono quindi gli altri reati contestati a Giuseppe Mancuso. In particolare, i affacciandosi dalla finestra della cella della casa circondariale di Siano, avrebbe chiamato a gran voce Emanuele Mancuso e con tono minaccioso intimato di ritornare indietro e di ritrattare la scelta di collaborare con la giustizia.

Violenza privata con le finalità mafiose un ulteriore reato contestato a Giuseppe Mancuso che, avendo appreso dell’avvio della collaborazione con la giustizia da parte del fratello Emanuele, gli avrebbe inviato una missiva minatoria dal carcere di Catanzaro. Nella lettera Giuseppe Mancuso indicava al fratello Emanuele il “codice di comportamento da tenere all’interno del penitenziario intimandogli”, con toni perentori, di non parlare della famiglia Mancuso.

Le pressioni dei familiari su Emanuele Mancuso

Violenza privata e intralcio alla giustizia (con l’aggravante delle finalità mafiose) le contestazioni mosse a Rosaria Del Vecchio, Giovanna Del Vecchio, Giuseppe Mancuso, Antonino Maccarone (per quest’ultimo è stata chiesta l’assoluzione). Mediante violenza psichica e paventando la possibilità di non poter vedere la figlia minore, nonché mediante offerte di denaro o altre utilità, avrebbero costretto Emanuele Mancuso a interrompere la collaborazione con la giustizia avviata il 18 giugno 2018 e ad uscire dal programma di protezione il 20 maggio 2019, non presentandosi all’interrogatorio fissato per il 21 maggio 2019. 

Giovanna Del Vecchio, avendo appreso dal figlio Giuseppe dell’intenzione di Emanuele di collaborare con la giustizia, avrebbe quindi avvertito il marito Pantaleone Mancuso che si è reso irreperibile (venendo catturato con documenti falsi solo il 13 marzo 2019).

Il ruolo della madre di Emanuele Mancuso

Giovanna Del Vecchio approfittando di un momento di fragilità del figlio Emanuele Mancuso (detenuto in località protetta in regime di arresti domiciliari) – dovuto ad alcune criticità nella gestione del piano di protezione, ai mancati colloqui visivi con la figlia minore ed alle preoccupazioni per il contesto nel quale viveva la bambina, anche a fronte del tentato omicidio ai danni di Domenic Signoretta (ritenuto il braccio destro del padre e del fratello) avvenuto nella notte tra il 19 ed il 20 maggio 2019 — avrebbe quindi convinto il figlio a cedere alle pressioni psicologiche accettando la proposta formulata dalla madre di uscire dal programma di protezione.

Le sorelle Rosaria e Giovanna Del Vecchio (zia e madre di Emanuele Mancuso) si sarebbero quindi fatte rivelare la località protetta dove Emanuele Mancuso si trovava agli arresti domiciliari. Giovanna Del Vecchio – insieme al genero Antonino Maccarone che conduceva il veicolo – è anche accusata di essersi recata in macchina a prelevare il collaboratore dal luogo della detenzione domiciliare, giungendo fino a pochi metri dall’alloggio dello stesso, non riuscendo nell’intento solo per via del trasferimento d’urgenza del detenuto in altra località.

Emanuele Mancuso e la deposizione

Intralcio alla giustizia con l’aggravante del metodo mafioso è infine il reato contestato a Pantaleone Mancuso, Desiree Mancuso, Giovanna Del Vecchio e Rosaria Del Vecchio in quanto, avendo appreso che Emanuele Mancuso aveva ripreso a collaborare con la giustizia, mediante pressioni e reiterate violenze psicologiche, avrebbero compiuto atti idonei a non far deporre Emanuele Mancuso all’udienza del 20 dicembre 2019. 

I tentativi di far recedere Emanuele Mancuso dal collaborare con la giustizia – attuati anche attraverso la sorella Desiree – sono però caduti nel vuoto e il giovane Emanuele si è rivelato sinora più che attendibile, oltre che il primo ed unico componente della famiglia Mancuso a “saltare il fosso” e passare dalla parte dello Stato.

I difensori. Giuseppe Mancuso è difeso d’ufficio dall’avvocato Francesco Schimio; Giuseppe Pititto è assistito dall’avvocato Diego Brancia; Rosaria Del Vecchio dall’avvocato Francesco Capria; Giovanna Del Vecchio dagli avvocati Francesco Sabatino e Francesco Capria; Antonino Maccarone è assistito dall’avvocato Francesco Sabatino; Pantaleone Mancuso è difeso dall’avvocato Francesco Capria; Desiree Mancuso è difesa dall’avvocato Francesco Capria.