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Due ergastoli ed oltre 100 anni di reclusione i per altri 6 imputati. Tre le assoluzioni. E’ la sentenza della Corte di Assise d’Appello di Reggio Calabria nel processo nato dall’operazione antimafia denominata “Confine”, scattata l’8 agosto 2012 e che mira a far luce sull’omicidio del boss di Serra San Bruno, Damiano Vallelunga, freddato il 27 novembre 2009 al santuario di Riace nell'ambito di una "guerra di mafia" che ha toccato i clan delle province di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria.
Ergastolo confermato per Vincenzo Gallace, 70 anni, ritenuto il boss di Guardavalle e Cosimo Leuzzi, 64 anni, ritenuto il boss di Stignano, al quale è stata inflitta pure la pena dell’isolamento diurno in carcere per un anno.
Le altre condanne riguardano: Salvatore Papaleo, 46 anni, di Monasterace, ritenuto vicino al clan Ruga, condannato a 18 anni e 9 mesi; Cosimo Spatari, 57 anni, di Placanica, 19 anni di reclusione; Agostino Vallelonga, di Campoli di Caulonia, 18 anni e 9 mesi; Roberto Umbaca, 17 anni di reclusione; Antonino Belnome, originario di Guardavalle, collaboratore di giustizia, 12 anni di carcere; Andrea Sotira, 40 anni, di Stignano, 21 anni e 6 mesi di reclusione.
Le assoluzioni interessano: Antonio Leuzzi, 33 anni, di Stignano, figlio di Cosimo (erano stati chiesti 12 anni di carcere); Luca Spatari, 33 anni, di Riace, figlio di Cosimo (erano stati chiesti 13 anni di carcere); Bruno Vallelonga, di Campoli di Caulonia (erano stati chiesti 12 anni di carcere), figlio dell’assassinato Gianni Vallelonga (ucciso il 21 aprile 2010), cugino di Damiano Vallelunga.
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L’esecuzione materiale dell’omicidio di Damiano Vallelunga sarebbe stata affidata, secondo l'iniziale ipotesi accusatoria, a Natale Misiti, 47 anni, di Stignano, nipote di Cosimo Spatari,ma lo stesso in secondo grado è stato assolto e l'assoluzione è divenuta poi definitiva. Altro soggetto indicato come esecutore materiale dell'omicidio di Damiano Vallelunga sarebbe stato Andrea Sotira, 40 anni, anche lui di Stignano, sposato con la figlia di Pietro Metastasio, ritenuto uno dei boss dell’omonima cosca di Caldarella di Stilo. Sotira è stato giudicato in altro procedimento. Parti civili nel processo figuravano i Comuni di Serra San Bruno, Stilo, Caulonia, Monasterace e Riace, oltre alla Provincia di Reggio Calabria.
Damiano Vallelunga, a capo dell’omonimo clan di Serra San Bruno, detto anche dei “Viperari” è stato ucciso il 27 settembre del 2009 dinanzi al santuario dei santi Cosma e Damiano. Un delitto che sarebbe stato pianificato dagli esponenti di vertice dei clan Gallace di Guardavalle, Leuzzi di Stignano e Ruga di Monasterace entrati in conflitto con Damiano Vallelunga per la gestione di alcuni appalti milionari nelle Serre calabresi come il business dell’eolico. Damiano Vallelunga non avrebbe permesso a nessuno di entrare nel suo vasto territorio delle Serre per fare “affari”.
Avrebbe inoltre pagato con la vita la sua alleanza al boss Carmelo, “Nuzzo”, Novella, che da Guardavalle Superiore si era trasferito in Lombardia con il proposito di formare una nuova struttura di ‘ndrangheta totalmente sganciata dalla “casa madre” calabrese. Un proposito mal visto dai Gallace e dai Ruga, soggetti di vertice dell’intera ‘ndrangheta calabrese che hanno infatti deciso l’omicidio di Novella, freddato poi il 14 luglio 2008 in un bar di San Vittore Olona, nel Milanese, da Antonino Belnome, originario di Guardavalle, a capo del “locale” di ‘ndrangheta di Giussano e con una carriera da calciatore professionista poi stroncata da un grave infortunio.
In tale contesto, Damiano Vallelunga avrebbe preso le difese di Alessio Novella, figlio dell’assassinato Carmelo, al fine di salvargli la vita dopo la morte del padre, ma tale scelta, unitamente ad altri motivi, avrebbe indisposto Gallace tanto da decretare la fine pure per il boss dei “Viperari”. I Vallelonga di Campoli, stando agli atti dell’inchiesta, spalleggiati dai Vallelonga di Mongiana, avrebbero invece fatto di tutto per raggiungere la pace con Mario Vallelunga, figlio di Damiano Vallelunga, attraverso un accordo separato di cui si sarebbe fatto “garante” il comune cugino “milanese” Cosimo Vallelonga. La consapevolezza da parte dei Vallelonga della “tragedia” e degli inganni orditi ai loro danni dai Gallace-Ruga-Leuzzi sarebbe arrivata quando era ormai troppo tardi.