Il ruolo di Trimboli - Natale Trimboli era un santista, un latitante di primo piano. Era uno che contava sia a Platì, suo paese d’origine che a Torino dove è stato condannato nell’ambito del processo Minotauro. Anche i fratelli di Saverio e Rocco, arrestati rispettivamente nel febbraio 2010 e nell’aprile del 2012, sono ritenuti esponenti di prestigio delle cosche dello jonio reggino e sono stati entrambi inseriti nell’elenco dei latitanti più pericolosi stilato dal Ministero dell’Interno . Trimboli era l’anello di congiunzione tra le ‘ndrine del Piemonte e le cosche della locride.


I dettagli dell’arresto - L’arresto di Trimboli è stato un caso. Lo hanno rivelato gli investigatori descrivendo i dettagli dell’operazione scattata la scorsa notte. Il latitante, infatti, è stato scovato all’interno di un’abitazione popolare, nel centro di Molochio. Con lui tre soggetti, Carmine Luci, Natale Altomonte e Santo Surace, arrestati in flagranza per favoreggiamento. Era da qualche giorno che gli inquirenti tenevano d’occhio quell’abitazione considerata sfitta.


“Ci siamo presentati con un mandato di perquisizione finalizzato alla ricerca di armi – spiega il comandante dei Carabinieri di Locri, Marco Barone – il reato più comune fra i pregiudicati della zona, ma quando siamo entrati nell'appartamento ci siamo trovati davanti quatto persone, di cui una sprovvista di documenti di identità”. A quel punto raccontano gli agenti “abbiamo contattato la stazione di Platì perché il soggetto ci ha detto di essere nato in quella zona e ai colleghi è bastato vedere l'immagine per riconoscerlo». Subito è scattato l’arresto.


“Gli approfondimenti sono ancora in corso – afferma il comandante Lorenzo Falferi– ma già da ora possiamo dire che quella di Trimboli era una ricollocazione meramente logistica e temporanea. In ogni caso, è interessante che due soggetti legati al contesto criminale di Oppido si preoccupino di fornire assistenza alla latitanza di uno 'ndranghetista di Platì”.


Trimboli ora dovrà scontare diverse condanne, per narcotraffico, associazione mafiosa e soprattutto la condanna all’ergastolo per l’ omicidio plurimo e occultamento di cadavere dei fratelli Stefanelli e di Giuseppe Mancuso, tutti uccisi a Volpiano nel 1997.


Le dichiarazioni dei pentiti - Ad inchiodare Trimboli, definito dal comandante Falferi ”un personaggio di primo piano delle famiglie di ‘ndrangheta impiantate in Piemonte”, sono state soprattutto le dichiarazioni dei pentiti Rocco Varacalli e Rocco Marando.


Il pentito Rocco Marando - Sono state le dichiarazioni di Marando a far luce sull’omicidio degli Stefanelli: “Sono stati gli Stefanelli – ha detto anche in pubblica udienza il collaboratore – a uccidere Francesco e noi poi ci siamo vendicati ammazzando loro”. Francesco è Francesco Marando ritrovato cadavere nel 1995 nei boschi di Chianocco, in val di Susa, riconosciuto solo grazie alle incisioni sull’anello nuziale. Quest’omicidio gli uomini di Volpiano non lo hanno dimenticato ma, lo hanno vendicato uccidendo i fratelli Stefanelli. Secondo il racconto del pentito, gli Stefanelli sarebbero stati attirati nella villa di Domenico Marando con il pretesto di una riunione ma sarebbero stati trucidati appena scesi dall'auto sul luogo dell'incontro. I loro cadaveri sarebbero stati quindi seppelliti nei boschi di Volpiano. “Fu Domenico che li uccise – racconta Marando- e poi trasportò i cadaveri in località Vauda a Volpiano”. Insieme a lui avrebbero partecipato all'omicidio anche Giuseppe Santo Aligi, Gaetano Napoli e Natale Trimboli.


Le dichiarazioni di Marando, poi, raccontano di come società vicine alle ‘ndrine riescano ad aggiudicarsi appalti pubblici o di come il traffico di sostanze stupefacenti sia per la ‘ndrangheta diventato un vero e proprio “mestiere”. ”La ‘ndrangheta – spiega Marando – è una cosa diversa dal traffico di droga: la ‘ndrangheta non ha come scopo il narcotraffico. La droga per noi è un “mestiere”, mentre la ‘ndrangheta è una famiglia che vuole ordine e che evita di aver problemi e fastidi con le Forze di polizia”.


Il pentito Rocco Varacalli - Grazie ad un altro storico pentito del processo Minotauro, Rocco Varacalli, gli inquirenti erano riusciti a ricostruire l’organigramma delle ‘ndrine presenti nel Torinese, che operavano in stretto contatto con le basi calabresi.


”Far parte della ‘ndrangheta – racconta Varacalli – vuol dire dare assistenza ai latitanti, ossia ad esempio dargli ospitalità; essere a disposizione notte e giorno della ‘ndrangheta, ossia ci si rende disponibili a fare qualsiasi cosa illecita per l‘associazione, ad esempio rubare, uccidere, fare estorsioni. Non prendevo stipendi dall‘organizzazione. La ‘ndrangheta è formalmente contraria alla gestione del traffico droga, ma poi tutti gli associati lavorano nel mondo del narcotraffico; in sostanza un associato della ‘ndrangheta può fare qualsiasi cosa, l‘importante è che non porti “tragedie, infamità e macchie d‘onore”.