Gli interessi della ‘ndrangheta sul “concimaio” – come alcuni accoliti della cosca chiamano l’impianto di trattamento rifiuti di Sambatello – sono stratificati nel tempo. Già dal 2000, raccontano i collaboratori di giustizia, la mano degli Araniti e della cosca confederata di Calanna, era quella che muoveva i fili e trattava gli affari, assunzioni comprese. Un patto antico, sancito dai vecchi accordi criminali venuti fuori dopo la seconda guerra di mafia, che aveva portato anche alla perfetta divisione degli uomini da piazzare all’interno (11 di Sambatello, 11 di Calanna, scelti direttamente dai boss). Poi qualcosa si rompe. Giuseppe Greco, che assieme a Domenico “il duca” Araniti gestisce di fatto l’impianto, viene arrestato e al suo posto lo stesso boss di Sambatello piazza un altro uomo, Antonino Princi “lo sceriffo”, ritenuto più giovane e pronto e con il quale stringe un accordo più favorevole. Quando Greco viene scarcerato però, ricostruiscono gli inquirenti, ci mette poco a capire che il potere su Calanna è passato di mano senza il suo consenso. Un affronto che Greco non può accettare.

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L’agguato allo Sceriffo

È il 9 febbraio del 2016 e il responsabile dell’impianto di trattamento dei rifiuti chiama il 113: all’interno dello stabilimento è in corso una scena da gangster movie con tanto di inseguimenti in auto e sparatorie in pieno giorno. Il bersaglio è Princi, l’uomo che Araniti ha piazzato al posto di Greco nella gestione degli affari criminali della discarica. «La dinamica degli accadimenti – annotano gli investigatori in un informativa confluita nel fascicolo dell’indagine “ducale” – è particolarmente violenta ed efferata». Il commando, scrivono ancora gli investigatori «a bordo di un’autovettura, aveva esploso colpi di arma da fuoco nei confronti di Princi Antonino mentre a bordo della sua autovettura si allontanava dal posto di lavoro, il quale era riuscito a scappare rientrando precipitosamente all’interno del sito». Un vero inferno che continua anche oltre il cancello d’ingresso con i proiettili che «hanno colpito anche macchine parcheggiate e i muri dell’immobile e, solo per puro caso, non hanno attinto terzi estranei». Un inferno da cui Princi riesce comunque a scappare.

La reazione del vecchio boss

A spiegare ai magistrati dell’antimafia dello Stretto le dinamiche di quel clamoroso agguato avvenuto nel “cortile di casa” di Araniti, è il collaboratore di giustizia Mario Chindemi: «Quando Peppe Greco l’ha sparato, la sotto al concimaio… Peppe Greco uscendo dalla galera si ritrovava un poco messo fuori bando, su Calanna avevano messo a Nino Princi a comandare… si è sentito escluso dalla situazione e ha sparato a Nino Princi».

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Un’iniziativa personale del vecchio boss appena uscito dal carcere e che era stato messo ai margini del potere ma che Domenico Araniti non può accettare: «Gli Araniti non l’hanno presa tanto bene – racconta ancora Chindemi agli inquirenti – perché se Peppe voleva sparare a Nino, se lo doveva fare su Calanna… e agli Araniti interessava avere una persona giovane, diversa da Peppe Greco… in pratica hanno voluto portare avanti a Nino Princi».

E per “portare avanti” Princi, l’unica soluzione per ristabilire la calma, era quella di disfarsi del vecchio boss. Un incombenza che doveva essere raccolta dallo stesso Princi. È sempre Condemi a metterlo a verbale: «Gli avevano chiesto se vedevano su Gallico a Peppe Greco di ucciderlo… Domenico Araniti a Princi gli aveva chiesto… “se lo stringi tu verso sopra, uccidilo pure”. Il collaboratore Chindemi non è in grado di riferire se l’ordine sia stato eseguito, resta il fatto però che, neanche due mesi dopo «in contrada Sotira di Sambatello, venivano esplosi diversi colpi di fucile calibro 12 all’indirizzo di Polimeni Domenico che veniva attinto mortalmente e di Greco Giuseppe» che verrà a sua volta colpito ma riuscirà a sopravvivere.