Gli innumerevoli interessi al Nord della cosca Megna, colpita dall’inchiesta Glicine-Acheronte. Le truffe ai fornitori lombardi, gli uomini di stanza in Emilia Romagna, i viaggi per controllare gli affari. E la protezione all’imprenditore in cambio di favori che interessavano anche al vecchio boss Mico
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«Stanotte non abbiamo dormito dentro e siamo riusciti a sgattaiolare […] se questi cornuti parlano con il giudice Gratteri non è che ha finito l’indagine». Il 20 dicembre 2018 l’operazione antimafia Tisifone aveva colpito le cosche di Isola Capo Rizzuto. Quello stesso giorno si incontrano Mario Megna, 51 anni, e Pietro Curcio, 39 anni. Sono considerati dalla Dda di Catanzaro esponenti della cosca di Papanice, frazione di Crotone comandata, racconta l’indagine Glicine-Acheronte, dal boss Domenico Megna, detto Mico, 75 anni.
Mario Megna è il nipote del boss e suo «referente diretto», responsabile di molte delle attività del clan, compresi investimenti illeciti in attività imprenditoriali.
Arresti e allerta: «Non abbiamo dormito dentro»
A dicembre 2018, dicevamo, c’è fibrillazione. Mario Megna discute con un suo uomo fidato, Pietro Curcio, che l’antimafia individua come partecipe della consorteria al quale vengono affidati compiti via via più delicati. I due hanno paura che l’indagine Tisifone non si fermi a quegli arresti.
«Il livello di allerta – è scritto in una informativa del Ros –, anche per ulteriori esecuzioni, era talmente tanto elevato da indurre lo stesso Mario Megna ad eludere eventuali pedinamenti a suo carico, attesa anche la ricerca di alcuni soggetti ancora da catturare».
I papaniciari decidono di mantenere prudenza, hanno sentino alla radio la conferenza tenuta dopo l’operazione e sono convinti che l’allora procuratore di Catanzaro Gratteri «non ha finito l’indagine».
Tra l’altro Megna è particolarmente adirato con un presunto sodale «che, proprio durante l’esecuzione dei provvedimenti, lo contattava in maniera insistente per avere notizie» sulla vendita di alcuni tubi e sul denaro ottenuto.
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Frodare i fornitori e rivendere la merce lucrando sul prezzo
Nonostante le fibrillazioni per gli arresti di dicembre, la distrettuale di Catanzaro viene messa al corrente di nuovi progetti criminali dei Papaniciari. Tra giugno e ottobre 2018 «la cosca papaniciara – scrive il Ros – stava, tra le altre cose, portando avanti dei progetti criminali incentrati su una serie di sfruttamenti di imprese già avviate nel settore dell’edilizia, aventi come base operativa e logistica il nord Italia e segnatamente la città di Milano».
In particolare la Dda di Catanzaro contesta ad alcuni indagati (Mario Megna, Francesco Carioti, Luigi Nisticò, Paolo Basco, Nunzio Vella, Salvatore Vella, Siro Girardi) di avere costituito un’associazione per delinquere dedita a truffare aziende ed esercizi commerciali: attraverso la società “Euroedilizia” amministrata da Basco, acquistavano materiali vari (pneumatici, schede carburanti, pacchi batteria per mezzi di locomozione ecc) con il chiaro intento di non pagare i fornitori e rivendere successivamente a terzi il materiale così acquisito, lucrando sul prezzo. I fornitori da frodare venivano cercati anche in Lombardia e Veneto, contattando direttamente i rappresentanti commerciali e collegandoli con Mario Megna e con i rappresentati della Euroedilizia. Ma non solo.
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Glicine-Acheronte, gli affari dei Papaniciari al Nord
I sodali della cosca curavano gli interessi del clan anche in quelle regioni del Nord, come l’Emilia Romagna, in cui il sodalizio aveva fatto investimenti e aveva interessi economici. Sottraevano beni sottoposti a sequestro, recuperavano – contesta l’accusa – crediti, facevano traffici illeciti di pneumatici, schede carburante e materiali edili, da destinare ai vertici apicali della consorteria. Inoltre gestivano attività riconducibili al sodalizio, come ristoranti e progetti di investimento nel settore turistico, anche tramite di società commerciali costituite ad hoc. Gli uomini piazzati al nord partecipavano a riunioni con gli esponenti dei papaniciari che, periodicamente, raggiungevano il Settentrione per controllare gli affari della cosca: pianificare investimenti, dirimere controversie, raccogliere i proventi delle attività illecite e presentare a Mario Megna imprenditori funzionali agli interessi della consorteria.
Il caso Frescura
Tra questi c’è il 78enne immobiliarista Alessandro Frescura, detto “Roberto”, originario di Catania e residente a Milano. È accusato di concorso esterno in associazione mafiosa perché in cambio di protezione e appoggi per la propria attività imprenditoriale avrebbe coadiuvato gli interessi dei papaniciari. In particolare Frescura, avendo maturato debiti anche di natura legale, tramite Pietro Curcio avrebbe chiesto l’intervento di Mario Megna «per ottenere “protezione” e “sconti” sulle parcelle pretese dai professionisti a cagione delle sue attività imprenditoriali e giudiziarie». In cambio avrebbe offerto alla cosca la gestione gratuita di ristoranti ed immobili a Milano, di diretta proprietà e pertinenza delle società immobiliari della sua famiglia.
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Scontro tra accusa e difesa
Su questa vicenda, già in fase cautelare, quanto l’immobiliarista era finito ai domiciliari, si sono scontrate accusa e difesa. I legali di Frescura sostengono che il debito nei confronti di un architetto era in realtà un credito e che due società immobiliari controllate dalla famiglia di Frescura sarebbero finite in un «meccanismo infernale» a causa del pagamento di due rate di mutui per cui la banca ha ceduto i debiti delle due società a una società per la cartolarizzazione dei crediti.
Impossibile, quindi cederle alle cosche.
La diatriba legale proseguirà con il proseguire del procedimento. Una cosa è certa: gli incontri con i papanicari nel nord Italia ci sono stati e sono stati monitorati e fotografati dal Ros. Lo stesso boss Domenico Megna - scrivono i militari – aveva convocato anche Curcio per discutere di persona la questione relativa all’imprenditore Frescura». Di interessi al Nord i Papaniciari ne contavano parecchi. Quale fosse la loro natura sarà un processo a stabilirlo.