«Io ho avuto la richiesta estorsiva, va bene? Dottore, io ho paura, glielo dico sinceramente».

È il 6 novembre scorso quando l’imprenditore Francesco Siclari, presidente di Ance Reggio Calabria, si siede davanti ai pm Stefano Musolino e Walter Ignazitto. Non è la prima volta che Siclari si trova al cospetto dei pubblici ministeri. Lo ha già fatto altre volte, poco tempo prima. Ma ora è diverso: dall’altra parte del tavolo c’è il suo socio e amico che, solo qualche mese prima, è stato arrestato. È Francesco Berna, già presidente Ance Calabria e accusato di essere orbitante nella cosca Libri. Berna, già da qualche tempo, ha iniziato a collaborare con la giustizia, raccontando tutto ciò che è a sua conoscenza. Ha raccontato delle estorsioni subite, di come la ‘ndrangheta faccia poca fatica a convincere gli imprenditori a sottostare alle regole di un mercato, quello dell’edilizia, fortemente drogato. Ora quelle parole finiscono nell’inchiesta contro la cosca Labate, egemone nel territorio di Gebbione.

 

La ritrosia iniziale di Siclari

Francesco Siclari viene sentito una prima volta il 24 ottobre scorso. Racconta di conoscere i fratelli Berna sin da piccolo e di aver avuto rapporti d’affari con loro sin dall’anno 2015, quando lo stesso Siclari propone una partnership ai Berna per la realizzazione di appalti edilizi privati. Fra queste proposte c’è anche quella di un lavoro sulla via Torricelli Ferrovieri. Viene costituita una società dai due imprenditori e l’appalto è concluso nel 2018. Si decide di investire sull’acquisto di un altro immobile vicino. Siamo nel territorio di competenza della cosca Labate.

Il pm Musolino gli pone una domanda secca: «È venuto qualcuno… a rompervi le scatole per chiedervi… mazzette?». Siclari nega: «Assolutamente no». E l’imprenditore offre ai pm tutto il carteggio dei danneggiamenti subiti. Ma Musolino fa capire subito come stanno le cose, spiegando che loro hanno un dato contrastante: «A noi risulta che vi è arrivata una richiesta estorsiva (…) se lei insiste, io poi le posso indicare anche quali sono, come dire, i dettagli (…) però per ora mi fermo qui perché come posso dire, provo a sollecitare la sua memoria ma soprattutto credo a farle superare alcuni timori per rappresentarle che insomma è un dato che noi già abbiamo».

 

«Francesco mi disse della richiesta di pizzo»

A questo punto il presidente Ance decide di raccontare tutto o quasi. Partendo dal giorno in cui Francesco Berna sarebbe andato da lui a parlare della richiesta di pizzo: «Un giorno dice Francesco sai… Francesco vedi che c’è una … qua sicuramente saremo costretti a… a pagare un caffè, diciamocela così». Dopo un’iniziale ritrosia, Siclari avrebbe accettato l’imposizione del pizzo: «Niente, poi mi ha informato che c’era questa richiesta e… e io ho accettato di contribuire a questa richiesta dottore». Secondo quanto dichiarato da Siclari, dunque, sarebbe stato Berna a informarlo della richiesta avanzata da non meglio identificati esponenti di ‘ndrangheta nel territorio in cui ricadeva l’appalto. Ma chi era questa famiglia? Siclari risponde chiaramente: «La famiglia lo leggiamo sui giornali, lo sappiamo tutti, la famiglia del Viale Quinto sono i Labate, no…».

 

La cifra pattuita per il pagamento della mazzetta è di 30mila euro, nonostante una pretesa più alta. I soldi vengono versati fra il dicembre 2017 ed il dicembre 2018, in quattro tranche da 5mila euro ciascuna. Secondo il racconto di Siclari, il pagamento di queste somme di denaro era avvenuto nelle mani di una persona giunta al cantiere a bordo di un motociclo. Nella prima versione di Siclari, a chiedere il pagamento delle somme sarebbero stati i Labate direttamente nei riguardi di Berna. «Francesco mi diceva “vedi che stanno stressando perché vogliono una tranche. (…) Va bene Francesco, dammi il tempo perché devo fare questa operazione, devo andare a fare il prelievo. Francesco mi diceva “domani a mezzogiorno passerà qualcuno a ritirare”».

 

La paura degli imprenditori

Le parole di Siclari, tuttavia, non convincono del tutto gli inquirenti. Musolino e Ignazitto sanno bene che il presidente Ance non sta raccontando i passaggi così come l’altro imprenditore, Francesco Berna, li ha narrati. Ed è per questo che decidono di metterli a confronto. Uno davanti all’altro. Due amici, due soci. Due persone che, insieme, hanno condiviso non solo affari, ma anche confidenze personali e familiari. Francesco&Francesco. B&S, proprio come la società che hanno costituito.

E l’incipit di Siclari fa comprendere quanta ragione avessero i due pubblici ministeri: «Dottore, io ho paura, glielo dico sinceramente…». Musolino lo rassicura: «Lo so che lei ha paura, cioè lo capisco che lei ha paura, mi ascolti un attimo, vinca la sua paura e si liberi, torni ad essere una persona libera, un imprenditore libero, glielo dico… come posso dire con… si fidi di quello che… noi la tuteliamo, lei non avrà problemi, non avrà problemi nel senso che le garantiamo l’incolumità fisica, ok? Nessuno le farà niente ok? E non solo». Siclari chiede protezione per la sua famiglia. E anche qui il pm lo rassicura: «Tuteliamo tutti, non si preoccupi».

 

L’estorsione subita da Siclari

L’imprenditore si lascia andare al racconto completo: «Allora, io ho avuto la richiesta estorsiva va bene? Ho avuto la richiesta estorsiva, un giorno passa una persona dal cantiere e mi dice, che io il soprannome non lo sapevo». Siclari racconta di aver saputo solo dopo chi fosse: «Nel tempo ho scoperto il “Vecchia Romagna”. Sa quando l’ho scoperto? Quando Klaus Davi mi pare, ha fatto quella cosa lì, quell’intervista davanti al cancello da lui, vi racconti i fatti come sono andati, da lì ho scoperto questa cosa». Il racconto prosegue: «Questo signore si avvicina, mi dice “Come state? Come non state” comunque mi propone di chiudere questa trattativa perché io ero una persona seria e comunque avrebbero fatto un trattamento particolare a noi, questa è la vicenda».

Siclari ne parla con Berna che ovviamente è contrariato ed esclama: «Se li godano a medicine». «Berna era avvelenato, ognuno di noi, rispetto ai sacrifici che facciamo, eravamo costretti purtroppo, i nostri sacrifici di darli a chi non lavora, purtroppo».

“Vecchia Romagna” ripassa nuovamente dal cantiere e questa volta rimprovera Siclari che, nel frattempo, non aveva dato seguito alle richieste. «Mi era stato fatto pure il rimprovero, che io avevo iniziato la demolizione e non avevo contattato nessuno, ed io non avevo contattato nessuno, io non andavo a cercare nessuno. E non sono mai andato a cercare nessuno. Quindi mi dice pure che io avevo fatto questa mancanza secondo il loro gergo, il loro modo di ragionare. Chiedo se è possibile chiuderla a 40 mila euro. Giustamente avviso Francesco e lui mi dice “Che dobbiamo fare?”. Accettiamo entrambi questo compromesso, chiamiamolo compromesso».

 

Francesco Siclari si sfoga con i pubblici ministeri: «Io non riuscivo a mandare fuori questa cosa, perché con lui (Berna, ndr) ne avevamo parlato anche prima di queste vicende che ognuno di noi era stanco di questa situazione e ci voleva una svolta rispetto a questo, sinceramente, e mi dispiace che lui purtroppo è arrivato troppo tardi rispetto… ha subito queste vicende perché non se le meritava, scusate la parentesi, a quel punto io le ho confermato che la richiesta di quanto era, di quanto abbiamo pagato».

 

Il “sistema” Reggio Calabria

E alle parole di Siclari si sono aggiunte quelle di Francesco Berna che ha descritto in modo chiaro come il pizzo sia un evento fisiologico in relazione alla tipologia di appalto, in regione della sua esperienza maturata in materia: «L’impresa viene taglieggiata nel momento in cui viene ad iniziare un cantiere… cioè purtroppo questa nella nostra città è una prassi scontata (…). Se si tratta di cantieri dove ci sono fabbricati da realizzare o lavori pubblici da fare, difficilmente in pratica uno riesce a scappare al tentativo di estorsione, all’estorsione vera e propria, cioè… la maggior parte dei casi almeno da quello che so, di cui sono a conoscenza io, la maggior parte delle imprese devono subire oppure rischiare in pratica ritorsioni oppure rischiare la vita, cioè perché dipende dai rapporti che ci sono con i soggetti in pratica… chi è il soggetto che ti viene davanti, no? E si presenta». Un vero e proprio sistema per indurre le imprese a pagare il pizzo.