I tempi cambiano anche per la 'ndrangheta: i tradizionali canali di finanziamento, come per esempio il narcotraffico, stanno diventando sempre più malcerti a causa dell'azione di contenimento delle forze dell'ordine e della pesantezza delle condanne da scontare. Ecco dunque che per fare soldi si ricorre anche alle truffe commesse con il vecchio trucco della valigetta.

Di questo si è discusso oggi in tribunale a Torino nel corso di un processo - celebrato a porte chiuse con il rito abbreviato - per le attività di gruppi che operavano nelle zone di Ivrea e di Chivasso. A parlarne sono stati i pm Dionigi Tibone e Livia Locci, che hanno chiesto 5 condanne a pene comprese fra i 10 e i 4 anni di carcere.

Fra gli episodi contestati vi sono tre casi di 'bidoni' che, nelle linee essenziali, hanno avuto questi tratti comuni: si avvicina qualcuno, gli si propone di acquistare una somma di denaro 'sporco' a un prezzo inferiore, gli si mostrano mazzette di banconote vere e poi, con destrezza, si scambiano le valigette in modo che il malcapitato si ritrovi con carte di giornale e persino pacchetti di caffé. Una delle vittime (non imputate) è il figlio di un imprenditore che una ventina d'anni or sono fu presidente di una squadra di calcio di serie A.

Uno dei boss fu intercettato mentre diceva che con questo trucco «al massimo ci prendiamo 4 anni per truffa». La Dda invece contesta l'aggravante dell'agevolazione ad associazione mafiosa. Il processo è uno dei tronconi di un'inchiesta chiamata 'Cagliostro'.