Il “padrino” di cresima designato è in carcere e il sacramento può attendere. È un episodio che dimostra plasticamente i rapporti esistenti fra presunti affiliati alla ‘ndrangheta quello che emerge dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Milano, nell’operazione che ha condotto alla disarticolare di parte della locale di Limbiate, in Lombardia.

Il ruolo di Fortunato Calabrò

Figura di primo piano dell’indagine è Fortunato Calabrò, calabrese trapiantato al Nord che risulta, secondo l’accusa, affiliato alla locale, sebbene una prima sentenza lo abbia assolto dall’accusa di 416 bis per insufficienza di prove. Ebbene, questa nuova inchiesta consegna Calabrò come persona al centro di alcune dinamiche che, sebbene di natura prettamente familiare, fanno emergere il suo rapporto con colui che rappresenta il vertice della locale di Limbiate nonché “mastro della Lombardia”, ossia Antonino Lamarmore, appartenente ad una famiglia tradizionalmente egemone sul territorio.

 

È il figlio di Calabrò a dover ricevere il sacramento della cresima. Ma il compare designato è in cella. Dunque niente sacramento, con buona pace di chi cerca di fargli cambiare idea.

 

Ecco come la famiglia Calabrò si giustificava, ovviamente con false scuse, circa l’impossibilità di effettuare la cresima.

 

Donna 1: «Ascolti le volevo dire che noi il ventisei purtroppo non ci potremmo essere perché siamo testimoni di nozze di un carissimo amico e quindi per forza di cosa non possiamo presentarci. Con noi viene anche Francesco e Antonio».

L’altra donna, sicuramente un’appartenente alla parrocchia, al capo del telefono ascolta in silenzio fino a quando la prima non proferisce questa frase:

Donna 1: «Poi le volevo accennare un’altra cosa. Francesco non farà la cresima… perché chi…

Donna 2: «Come mai?»

Donna 1: «Lo deve cresima… perché lui continuerà il suo catechismo perché è giusto chi lo deve cresimare in questo momento è molto ammalato...»

Donna 2: «Eh»

Donna 1: «E ormai è stata scelta… a lui non glielo abbiamo ancora detto perché sinceramente non sappiamo neanche come dirglielo in questo momento… però purtroppo non ce la fa perché ha una serie di terapie da seguire…»

Donna 2: «hummm»

Donna 1: «Ormai è stata scelta questa persona e per me non era molto bello capito… cambiare»

Donna 2: «Hummm»

Poi la domanda della donna alla parente di Calabrò: «Ma non si può trovare un’altra persona?». Risposta laconica: «No, non penso».

 

Dalle ulteriore conversazioni si evince la decisione con cui Calabrò non ritenesse possibile altro padrino, per il proprio figlio, che Lamarmore.

Francesco Calabrò: Proprio perché non faccio la cosa…

Fortunato Calabrò: Che?

Francesco C.: la cresima, zio Nino, perché ha detto che c’è rimasto anche lui male, perché dice: «Ma è una decisione dei tuoi genitori o tua?»

Fortunato C.: Digli di non romperti le palle

Francesco C. : Perché se era… se non era tua ha detto che la dovevi fare, cioè non è giusto che lo decidono i genitori, lo devi decidere te

 

Occorre evidenziare, scrive il gip, «come il compare d’anello, battesimo o cresima, è figura il cui ruolo principale – secondo le tradizioni calabresi, e dunque dei luoghi di origine degli indagati – era quello di vegliare sulla vita del soggetto di cui era compare aiutandolo e consigliandolo come fosse un padre o un fratello. La medesima funzione è stata traslata nel linguaggio ‘ndranghetista, sicché per gli affiliati di ‘ndrangheta, il compare di battesimo, cresima o matrimoni, rappresenta una figura di rispetto che aiuta, sostiene e accompagna il cammino dello ‘ndranghetista». Per il giudice, dunque, il comparaggio con Lamarmore che emerge dalle conversazioni, risale quanto meno dalla data delle nozze di Calabrò e si è protratto nel tempo avendo battezzato anche i figli.

 

Consolato Minniti