Secondo quanto si legge nelle carte Marcello Coffrini e Giuseppe Vezzani si garantivano l'appoggio di un bacino di elettori (non solo calabresi) controllati dal sodalizio 'ndranghetistico emiliano
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Concorso esterno in associazione mafiosa «perché in sinergia tra loro, nell'ambito di una continuità politica, contribuivano concretamente, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione e alla realizzazione degli scopi del sodalizio 'ndranghetistico». Di questo sono accusati Marcello Coffrini e Giuseppe Vezzani, ex sindaci di Brescello, il Comune reggiano sciolto per mafia il 20 aprile 2016, il primo della storia in Emilia-Romagna.
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«Entrambi - si legge nelle carte dell'inchiesta condotta dalla Dda di Bologna che ha notificato ai due gli avvisi di fine indagine - erano ben informati che sul territorio operasse la struttura autonoma di 'ndrangheta, storicamente derivante dalla cosca Grande Aracri di Cutro». Secondo il sostituto procuratore Beatrice Ronchi e il procuratore capo Giuseppe Amato, titolari del fascicolo, Vezzani e Coffrini (il primo in carica per due mandati consecutivi dal 2004 al 2014, il secondo dal 2014 fino al commissariamento) «fornivano un contributo che consisteva nello svolgimento degli incarichi tutelando gli interessi del sodalizio mafioso o di alcuni esponenti (anche di vertice) rafforzando così la consorteria e consentendone l'affermazione e l'espansione sul territorio di Brescello e non solo».
Nel dettaglio viene loro contestato che «non prendevano deliberatamente alcuna iniziativa di fronte ad accertati abusi edilizi ed occupazioni demaniali attuate da soggetti intranei al sodalizio», «consentivano l'affidamento di lavori pubblici a ditte della cosca», «appoggiavano pratiche amministrative, interventi di natura urbanistica volti a favorire il clan» e «agivano per contribuire a creare all'esterno, nell'opinione pubblica, un'immagine di Francesco Grande Aracri, Alfonso Diletto (ritenuti al vertice della cosca, ndr) e dei loro parenti contigui al sodalizio, quali soggetti puliti e per bene da integrare nel contesto della vita civile».
Infine, scrive la Procura della Direzione Distrettuale Antimafia, «il tutto per garantirsi e garantendosi nel tempo (con radici già nel mandato precedente a quello del 2004), con un tale sistematico agire, l'appoggio di bacino di elettori (non solo calabresi) controllati dal sodalizio 'ndranghetistico emiliano».