Diverse le figure di spessore che hanno preso parte al convegno che si è tenuto alla Camere di commercio. Tra questi il procuratore Curcio che ha parlato di un «gap di conoscenza» sulle cosche
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Qual è la vera natura della ’ndrangheta e che cosa è diventata nel XXI secolo? La questione, per nulla scontata, è emersa venerdì 28 pomeriggio nel corso di un convegno tenuto alla Camera di Commercio di Catanzaro sul tema “Coraggio e legalità”. Un appuntamento che è riuscito a diradare la nebbia della retorica (e talora anche dell’ipocrisia) che spesso avvolge confronti di questa natura. La qualità mediamente alta degli interventi, e soprattutto alcuni ragionamenti di straordinario spessore e lucidità, hanno trasformato questo dibattito, nato per avvicinare imprese e istituzioni nella lotta alla ’ndrangheta, in qualcosa di molto serio e di utile. Il tema prescelto è nato dalla Commissione anti-’ndrangheta del Consiglio regionale, presente con il suo segretario, Antonio Montuoro, e il suo presidente, Pietro Molinaro, che hanno introdotto i lavori. Spirito condiviso da Unindustria, rappresentata dal presidente regionale Aldo Ferrara, e da Pietro Falbo, presidente della Camera di Commercio di Catanzaro, Vibo e Crotone.
Una sola sintesi giornalistica impedisce di riassumere tutti gli spunti giunti nel corso della discussione, per cui sarà necessario dare priorità a quelle voci che si sono distinte per profondità di analisi. Il procuratore capo della Direzione distrettuale antimafia, Salvatore Curcio, è stato protagonista di un intervento di spessore assoluto, meritevole di essere trasmesso in maniera integrale anche nelle realtà più ricche e dinamiche del Paese. Curcio, pur accennando ai ripetuti successi dello Stato nel contrasto ai poteri mafiosi, forte di una lunga e articolata esperienza sul campo ha affermato: «Scontiamo ancora un gap di conoscenza sulla ’ndrangheta, sulla dimensione esatta di questo fenomeno». Ecco la questione delle questioni, perché se da un lato sappiamo che grazie al narcotraffico la ’ndrangheta ha accumulato risorse finanziarie immense, miliardi e miliardi di euro o di dollari, dall’altro non possiamo più immaginare che i suoi adepti siano ancora quelli che si “accontentano” di tormentare il territorio di appartenenza con richieste estorsive di varia natura, con il “pizzo” e la “tanica di benzina”. Né si può ipotizzare che questi volumi giganteschi di denaro sporco siano rimasti in Calabria o possano essere gestiti senza l’ausilio e la regia di professionisti di rango elevato.
Il procuratore Curcio, dosando bene le parole e pur con grande senso dell’equilibrio, ha spiegato come la ’ndrangheta sia ormai transnazionale, che è impegnata in paurose azioni di riciclaggio in Italia e in molti Paesi all’estero, ma che continua ad avvertire la necessità, potremmo dire quasi antropologica, di riaffermare il proprio potere nei luoghi d’origine. Gli affari colossali, però, li controlla al di fuori della Calabria, tra alta finanza, collusioni con imprese di spessore, investendo nei settori della ristorazione, del turismo, del traffico di armi, ma anche in attività innovative. E questi giganteschi movimenti di denaro accumulato con una sorta di monopolio del narcotraffico - ha sottolineato il Capo della Dda - inquinano pesantemente l’economia reale, rendendo assai labili i confini tra imprese di diretta filiazione criminale, connivenza, convenienza, comodi silenzi.
Un corollario di questi princìpi fissati dal dottor Curcio induce a chiedere: a che livello sono giunti i fenomeni corruttivi che riguardano i cosiddetti colletti bianchi o le zone grigie? L’on. Wanda Ferro, sottosegretario di Stato al ministero dell’Interno, nelle sue conclusioni ha ripreso più volte, con evidente competenza, i passaggi del procuratore Curcio, aggiungendo aspetti che nascono da un’azione politico-istituzionale sempre più di spessore nazionale ed europea. La parlamentare di Fdi, catanzarese, dando ulteriore forza al ragionamento proposto da Curcio, ha accennato ai fenomeni di riciclaggio collegati alle moderne frontiere delle criptovalute, ai reati cosiddetti “cyber”, alla disponibilità ben remunerata di intelligenze che operano nei settori delle alte tecnologie e che garantiscono, ad esempio, comunicazioni sempre più criptate e difficili da intercettare, il che pone problemi allo Stato relativi a nuovi investimenti in formazione e informatica.
Curcio e Ferro, supportati anche da un intervento del prefetto di Catanzaro, Castrese De Rosa, che ha messo in luce anche doti umane molto apprezzabili, hanno condiviso l’idea che la ’ndrangheta, per quanto ancora pericolosamente radicata in Calabria, dov’è nata, si stia però espandendo altrove, in contesti più grandi, ricchi, dinamici, dove fare “business” è anche più semplice e redditizio. Non tanto, però, da accettare, e qui prendo a prestito i contenuti di un recente infuocato dibattito, idee di “autonomia differenziata”: la gemmazione di “locali” nel Nord Italia o all’estero non significa e forse mai significherà autonomia e distacco dalla “casa madre”.
In questo quadro si è innestato il contributo offerto dal presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, che con coraggio civile, condividendo il tono generale del confronto, ha affermato: «La presenza della ’ndrangheta non può costituire un alibi per non fare in Calabria, per non investire nella nostra terra, perché la mafia è ovunque e soprattutto nelle aree più sviluppate d’Italia, d’Europa e perfino di altri continenti». La ’ndrangheta, ha sottolineato giustamente il presidente Occhiuto, non può diventare una scusa per arrendersi, per non impegnarsi, per non incentivare sviluppo e investimenti. Del resto, proprio il convegno ideato da Antonio Montuoro ha messo in evidenza come la stretta collaborazione, non solo ideale ma strutturata e organizzata, fra istituzioni (Stato, Regioni, Magistratura, Dna, Dia, Forze dell’ordine) e mondo delle imprese può assicurare la tranquillità necessaria per operare a beneficio della popolazione calabrese, anche attraverso la gestione di opere pubbliche strategiche (alta velocità, elettrificazione ferroviaria, infrastrutture viarie primarie, ospedali…). Occhiuto, a tal proposito, ha parlato di “danno culturale” che la ’ndrangheta ha aggiunto nella sua azione illegale, contribuendo a far maturare l’idea che la Calabria sia una sorta di terra di nessuno, una battaglia persa, un malato incurabile.
Particolari altrettanto interessanti sono emersi dalle analisi attente di Beniamino Fazio, capo centro operativo della Dia di Catanzaro, e dal questore Giuseppe Linares che ha straordinarie competenze in materia di sicurezza, nonché dagli altri intervenuti. Se si volesse trarre un insegnamento di fondo dall’incontro pubblico su “Coraggio e legalità”, si potrebbe dire che la rivoluzione più importante da attuare è di tipo culturale, perché – come è stato sottolineato più volte – la sola azione repressiva non è sufficiente a sradicare un fenomeno tanto pernicioso, dannoso e condizionante. Scongiurare, quindi, i luoghi comuni, dimostrando che lo Stato c’è ed è più forte, soprattutto perché può e sa offrire modelli vincenti di convivenza, perché sa guidare lo sviluppo economico-sociale impedendo di offrire continua manovalanza a basso costo al crimine, perché sa difendere i diritti costituzionali dei cittadini (primi tra tutti quelli all’istruzione, al lavoro, alla sanità), perché non lascia soli sindaci e amministratori locali. La Calabria non è ’ndrangheta e non vuole morire di ’ndrangheta!