Non c’è soltanto il ritorno di Francesco D’Onofrio, considerato dalla Dda di Torino figura di spicco della ’ndrangheta in Piemonte. Nell’inchiesta Factotum ci sono altri nomi che portano direttamente alla Calabria e, in un caso, alla latitanza - finita a Genova ma con probabili tappe anche nell’area sub-alpina - di Pasquale Bonavota, boss del clan di Sant’Onofrio.

D’Onofrio, per cominciare: un’anomalia in sé, perché tra tanti presunti boss e gregari in rapporti con l’estremismo di destra, il 68enne originario di Mileto ha un retroterra diverso, da ex militante del Colp (Comunisti organizzati per la liberazione proletaria, un gruppo attivo negli anni Ottanta). D’Onofrio compare spesso nei racconti dei pentiti, che descrivono legami saldi con la Calabria e anche una sorta di deferenza nei suoi confronti da parte di gruppi emergenti del vibonese come il clan dei Piscopisani. La sua è una figura che da tempo, nonostante si professi estraneo alla criminalità organizzata anche per ragioni ideologiche, è oggetto di interesse dell'antimafia subalpina. In questo nuovo procedimento risulterebbe chiamato in causa dai collaboratori di giustizia che lo hanno indicato come un vero e proprio "dirigente" all'interno della rete 'ndranghetistica piemontese. Ora è indagato per associazione di stampo mafioso, estorsione e violazione della legge sulle armi. Il timore degli investigatori - timore che avrebbe giustificato l’esecuzione del fermo - era che volesse fuggire all’estero. 

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Secondo due pentiti D'Onofrio fu anche coinvolto nell'omicidio del magistrato Bruno Caccia, procuratore capo a Torino, ucciso nel 1983; l'uomo però ha sempre negato l'addebito e la procura generale di Milano, non essendoci ulteriori riscontri, ha archiviato il caso. Secondo quanto appreso, nel corso della perquisizione della sua abitazione a Moncalieri, i finanzieri guidati dal comandante Carmine Virno, avrebbero trovato una pistola calibro 38 che è stata inviata agli specialisti della balistica per capire se, dove e quando, abbia sparato.

Tra i cinque fermi eseguiti su impulso della Dda guidata dal procuratore Giovanni Bombardieri c’è anche un sindacalista: è Domenico Ceravolo, membro della segreteria Filca Cisl di Torino eletto con votazione bulgara nello scorso mese di febbraio. Figura pubblica tutta proiettata sui diritti dei lavoratori e sulla sicurezza nei cantieri. I magistrati piemontesi sospettano che abbia avuto un ruolo nella latitanza di Pasquale Bonavota. L’unico dettaglio emerso finora era il ritrovamento della fotocopia di un suo documento di identità nel covo del presunto boss arrestato a Genova il 23 aprile 2023 mentre si trovava in chiesa.

Ceravolo è stato un teste della difesa nel processo Rinascita Scott. E secondo l’accusa formalizzata dalla Dda di Torino avrebbe avuto «un ruolo rilevante ai fini dell’attività dell’associazione». La Filca ha fatto sapere di averlo «immediatamente sospeso in via cautelativa».

In manette è finito anche Antonio Serratore, considerato un esponente della ‘ndrangheta Piemonte e già condannato per la sua affiliazione alla cellula di Carmagnola: era già in carcere. Serratore si sarebbe «adoperato – scrivono i magistrati - per fornire sostegno finanziario e assistenza logistica a favore del latitante Pasquale Bonavota, ritenuto appartenente di spicco dell’omonima cosca del Vibonese».

Sono coinvolti nell’inchiesta anche Rocco Costa, imputato e assolto in Carminus e nuovamente accusato di essere membro della locale di Carmagnola; Claudio Russo, che sarebbe un uomo di fiducia dello stesso D’Onofrio, una sorta di factotum; Giacomo Lo Surdo, ex capo ultrà della Juventus (il gruppo era quello degli Arditi) coinvolto nei mesi scorsi in un’inchiesta della Dda che aveva messo nel mirino le infiltrazioni mafiose in alcuni eventi come i mercatini di Natale.