«Mi reputo di famiglia». Questo asseriva l’imprenditore Giuseppe D’Amico riferendo dei rapporti che manteneva con i componenti della cosca Mancuso. Imputato in Petrolmafie, D’Amico è stato condannato a 30 anni di reclusione dal Tribunale di Vibo Valentia con l’accusa di essere un imprenditore di riferimento della cosca capeggiata dal boss Luigi Mancuso, anche lui condannato a 30 anni. Socio e legale rappresentante della Dr Service srl, Giuseppe D’Amico eil fratello Antonio (condannato a 18 anni e 10 mesi) avrebbero gestito i propri affari grazie anche al contributo e all’appoggio della cosca Mancuso. Il Tribunale di Vibo li considera «collusi con la cosca egemone a Limbadi».
Sarebbero stati Giuseppe D’Amico e Silvana Mancuso (condannata a 12 anni e due mesi) a introdurre la consorteria nell’affare degli idrocarburi.

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Sarà la stessa cosca – asserisce la Dda di Catanzaro – a curare i rapporti tra la Dr Service e la Lp Carburanti - società riconducibile a Francesco Mancuso, detto “Ciccio Tabacco” (condannato a 10 anni e due mesi) e Rosamaria Pugliese (condannata a sette anni) - nonché le trattive con i kazaki della Rompetrol. Nonostante l’affare con i kazaki di importare idrocarburi non si perfezionerà, l’inchiesta ha permesso di disvelare l’interesse della cosca nell’investire capitali, frutto di affari sporchi, attraverso l’intermediazione dei fratelli D’Amico e delle loro società.

I fratelli D’Amico contigui alla cosca Mancuso

È Luigi Mancuso, detto “Zio Luigi” a impartire le direttive per le trattative con i kazaki a Giuseppe D’Amico, come svela una conversazione che quest’ultimo intrattiene col fratello Antonio D’Amico e Antonio Prenesti, uomo della cosca a Milano (condannato a 15 anni): «Questo qua è lo Zio Luigi, ha detto che dobbiamo parlare totalmente noi…».

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