Dall'estorsione Fininvest agli interessi sul porto di Gioia Tauro, è ritenuto la testa pensante dell'omonima cosca. Arrestato nel 1999 dopo sei anni di latitanza, era detenuto al 41 bis nel carcere di Viterbo (ASCOLTA L'AUDIO)
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Il boss della ‘Ndrangheta Giuseppe Piromalli, alias “Facciazza”, torna in libertà per fine pena. Il vertice indiscusso dell’omonima consorteria ‘ndranghetistica, fra le più potenti dell’intera organizzazione criminale calabrese, ha terminato di scontare la condanna in regime di 41 bis all’interno del penitenziario di Viterbo. Ora, per lui, si profilano tre anni di libertà vigilata.
La notizia, riportata per prima sul sito cronachedi.it, non è di quelle da prendere sotto gamba. È noto, infatti, il carisma criminale di Giuseppe Piromalli “facciazza” ritenuto dagli inquirenti la testa pensante del casato mafioso di Gioia Tauro.
L’arresto nel marzo 1999
Piromalli, classe 1945, venne arrestato l’11 marzo del 1999, all’età di 54 anni, all’interno di un appartamento blindato di Gioia Tauro, nel quartiere Monacelli, storica roccaforte della cosca. A stringere le manette ai polsi di quello che fu definito il “Provenzano di Calabria” furono i carabinieri del reparto operativo di Reggio Calabria, della Compagnia di Gioia Tauro e dei Cacciatori di Calabria. Alla guida di quel pool di militari c’erano due ufficiali mai dimenticati a queste latitudini come il colonnello Gennaro Niglio ed il colonnello Cosimo Fazio. All’epoca Piromalli si nascose all’interno di un vecchio casolare, in apparenza disabitato. Furono necessari dei martelli pneumatici per riuscire a rintracciare il covo del boss. All’interno, i militari trovarono una riserva di champagne e documenti di vario genere. Numerose le immagini sacre presenti all’interno del covo, fra cui anche un altare eretto in onore della Madonna di Polsi.
Le accuse e la vicenda Fininvest
Piromalli era ricercato perché colpito da quattro provvedimenti restrittivi, fra cui uno per associazione mafiosa, tentata estorsione e danneggiamenti con esplosivo ai danni dei gestori Fininvest, ai quali era stata chiesta una tangente da 200 milioni di lire. Proprio questa vicenda, di recente, è tornata agli onori della cronaca nel corso del processo ’Ndrangheta stragista, nel corso della quale il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo dedicò un intero capitolo della sua requisitoria, ricostruendo quell’estorsione (e mettendo in luce incroci e personaggi) attraverso il materiale raccolto nel processo “Tirreno”, riportando a galla anche le dichiarazioni di Angelo Sorrenti, dove questi disse chiaramente della richiesta di denaro avuta dalla cosca Piromalli per l’installazione dei ripetitori. E quando l’allora dirigente del commissariato di Gioia Tauro, D’Alfonso, disse a Sorrenti di temere per la sua vita, questi raccontò: «In quel frangente presi la decisione di andare a trovare Pino Piromalli per dirgli per chiedergli se io potevo restare a lavorare in quell’azienda e a vivere in questo paese Pino Piromalli quello lo stesso che è venuto a chiedermi (la somma di 200 milioni: n.d.r.)…E da chi dovevo andare? Il dottore D'Alfonso mi diceva che teme per la mia vita ma non prendeva provvedimenti, e secondo me era un riferimento importante e indispensabile per continuare a stare lì, infatti ricevetti tutte le garanzie, mi disse: “Puoi restare e se te lo dico io che puoi restare, resta; anzi potete anche non trasferirvi a Reggio Calabria”». Insomma, Sorrenti non lo definì propriamente “capo” ma «sicuramente qualcosa di più», a tal punto da rivolgersi a lui per avere la garanzia di poter rimanere a Gioia Tauro.
Un altro provvedimento, emesso dal gip di Palmi nei confronti di Piromalli, nel giugno del ’97 era riferito all’operazione “Gatto persiano” per il tentativo di estorsione ai danni della Medcenter interessata alla gestione del porto di Gioia Tauro ed alla quale fu chiesta una tangente di un dollaro e mezzo per ciascun container trattato. Il quarto provvedimento riguardava l’operazione “Porto”. Anche qui con interesse all’accaparramento dei pubblici appalti nell’area portuale.
L’assoluzione nel delitto Ioculano
Ma Piromalli venne anche coinvolto in uno dei delitti che turbarono di più la Piana di Gioia Tauro sul finire degli anni ’90. Parliamo dell’omicidio di Luigi Ioculano, medico molto conosciuto sul territorio, anche in considerazione del suo impegno politico e contro la criminalità organizzata. Ioculano fu ucciso il 25 settembre del 1998. Per quel delitto venne processato e condannato, in primo grado, don Pino Piromalli “facciazza” quale mandante, mentre Rocco Pasqualone fu ritenuto l’esecutore materiale. Sta di fatto che, invece, in Appello entrambe le posizioni furono completamente ribaltate e la corte decise per l’assoluzione di entrambi per insufficienza di prove.
L’assoluzione in “Provvidenza”
A dirla tutta, però, Pino Piromalli “facciazza” ha rischiato seriamente di non poter uscire ancora dal carcere, in considerazione del suo coinvolgimento nell’inchiesta “Provvidenza”, eseguita nel gennaio 2017 proprio contro la cosca Piromalli di Gioia Tauro. In quel contesto, a don Pino Piromalli fu contestato di continuare a gestire gli affari della cosca anche in regime di 41-bis, fornendo indicazioni operative. Un’accusa che, però, non ha retto al vaglio del Tribunale collegiale di Palmi che ha assolto Pino Piromalli “facciazza” in primo grado, nel dicembre scorso. Una decisione, questa, che di fatto ha permesso al boss della ‘Ndrangheta di poter attendere l’ultima parte di espiazione pena, prima di poter di nuovo uscire in libertà. E bisognerà vedere ora cosa effettivamente deciderà di fare l’ormai anziano boss di ‘Ndrangheta, oggi 76enne. Se vivere questi ultimi anni lontano dagli “affari di famiglia”, oppure continuare a conservare quel ruolo di vertice indiscusso di un sodalizio criminale in grado di penetrare ben oltre i confini della Calabria, proiettandosi come una delle cosche più al passo con i tempi ed in grado di mutare pelle, in nome del potere e del denaro. Senza mai rinunciare, però, all’oppressione dei territori dove tuttora è egemone.