La Polizia di Stato di Catanzaro ha tratto in arresto, su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia del Capoluogo, esponenti di rilievo e sodali della cosca Gallelli, operativa nel comprensorio del basso versante jonico della provincia di Catanzaro, in quanto ritenuti responsabili di numerosi episodi estorsivi a carico di un’impresa agricola appartenente ad una nota famiglia di latifondisti. Si tratta di Gallelli Vincenzo, cl. 43, inteso “Cenzo Macineju” , Santillo Andrea, cl. 60, inteso “Nuzzo”, Santillo Antonio, cl. 89, Gallelli Antonio, cl. 80, Larocca Francesco, cl. 66, Nisticò Giacomo, cl. 67, Caporale Giuseppe, cl. 81.

Imposta la "guardania"

Le attività investigative, condotte dalla Squadra Mobile di Catanzaro, coordinate dalla Procura Distrettuale Antimafia di Catanzaro, hanno permesso di accertare che il capo cosca Vincenzo Gallelli cl.43 sin dai primi anni ’90 imponeva la “guardiania” sulle proprietà di una nota famiglia di Badolato, fissando altresì le modalità di sfruttamento dei terreni, costringeva di anno in anno gli imprenditori a concederli a pascolo ed erbaggio a propri familiari, nipoti e pronipoti, impedendone in tal modo il libero sfruttamento commerciale da parte dei legittimi proprietari.

 

!banner!

La pressante condizione di assoggettamento ed omertà imposta ai titolari dell’azienda agricola, realizzata anche con sistematici danneggiamenti alle strutture dell’impresa, li aveva costretti a modificare e rivedere i termini e le condizioni contrattuali stabiliti con altri operatori agricoli, la cui presenza doveva rappresentare una sorta di argine alle pretese ed ai condizionamenti di Vincenzo Gallelli cl.43.

 

Le indagini

Le investigazioni, effettuate mediante l’attivazione di intercettazioni telefoniche ed ambientali, hanno fatto emergere, in particolare, come gli imprenditori agricoli, vittime delle pretese estorsive, per il periodo temporale che va dalla metà degli anni ’90 all’anno 2008 siano stati costretti ad accettare la presenza nelle loro aziende, quale “custode” di Vincenzo Gallelli, il quale in virtù delle doti criminali rivestite, garantiva loro la cosidetta “tranquillità ambientale”, costringendoli, per converso, a donargli quale controprestazione, numerosi terreni, nonché ad affidare la gestione e lo sfruttamento di altri fondi agricoli a sé od ai suoi più prossimi familiari, quali il pronipote trentasettenne Antonio Gallelli con divieto, di fatto, di esercitare, sui terreni attività non concordate con il capo cosca.

 

In particolare, ogni qual volta le vittime tentavano di dare corso ad una produzione agricola intensiva, i loro raccolti erano completamente distrutti dagli animali posseduti dai membri della famiglia Gallelli lasciati abusivamente al pascolo sui terreni coltivati. La pressante condizione di assoggettamento ed omertà imposta ai titolari dell’azienda agricola li costringeva inoltre a modificare e rivedere i termini e le condizioni contrattuali stabiliti con altri operatori agricoli, la cui presenza doveva rappresentare una sorta di argine alle pretese ed ai condizionamenti del Gallelli Vincenzo.

 

Quest’ultimo per la realizzazione dei propri intenti criminosi utilizzava il nipote Santillo Antonio cl.89, i pronipoti Gallelli Antonio cl.80 e CaporalE Giuseppe cl.81, paventando per il tramite del Larocca Franco cl.66, del genero Nisticò Giacomo cl.67, il verificarsi di gravissimi atti di sangue qualora le direttive del capo cosca non fossero state seguite.

 

Il contesto di totale soggezione psicologica nel quale si erano venuti a trovare le vittime, induceva le medesime ad omettere per anni di sporgere formale denuncia contro l’ arbitraria ed abusiva occupazione dei terreni nonché l’utilizzo dei mezzi agricoli che nel corso degli anni i Gallelli avevano attuato anche mediante minacce al fattore dell’impresa agricola.