I rapporti con le cosche calabresi che trafficano con i Senese. La parentela con le famiglie di Platì e San Luca. Il rispetto («è un uomo onorato») degli affiliati. «L’anziano» ritenuto un pezzo grosso della mala milanese riemerge nelle carte dell’inchiesta Hydra
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Come tutti i fantasmi, Peppe Calabrò riappare all’improvviso, inaspettato nelle pieghe di un’inchiesta che punta a dimostrare l’esistenza di una maxi cupola mafiosa in Lombardia. “U Dutturicchiu”, 74 anni, è considerato un esponente di peso nella mala milanese, lega il suo nome al traffico di droga e a una delle più oscure vicende nella storia della ‘ndrangheta al Nord, il rapimento di Cristina Mazzotti, 18enne figlia di un broker del settore dell’alimentare strappata alla propria famiglia nel luglio 1975. La ragazza, rapita poco dopo aver festeggiato il conseguimento della maturità, venne chiusa in una buca umida all’interno di una cascina a Castelletto Ticino, con un tubo di cinque centimetri come unico contatto con il mondo esterno. Terribile episodio con un esito giudiziario ancora da definire: Calabrò è uno degli imputati nel processo che si aprirà nel settembre 2024.
Il suo nome viene evocato – anche questo si addice ai fantasmi – nelle carte dell’inchiesta Hydra.
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«Quello è proprio Barbaro, di nome e di fatto», dice Filippo Crea, uno degli oltre cento indagati dalla Dda di Milano, per individuare uno dei suoi contatti che nel proprio pedigree può vante la parentela con Calabrò, che non compare tra gli indagati. Crea è considerato dai pm antimafia il referente del clan Iamonte per il Nord Italia anche se il gip distrettuale non ha concesso nei suoi confronti l’applicazione della misura cautelare chiesta dall’accusa.
Gli atti della maxi indagine, che ipotizza una saldatura (anch’essa negata dal giudice) tra ‘ndrangheta, Cosa nostra e camorra nel Milanese, raccontano molto sui contatti del presunto «referente» in Calabria. Ci sono nomi e cognomi che costruiscono un ponte tra l’area di Melito Porto Salvo, dalla quale proviene la famiglia Crea, e la Locride. Tra gli altri, i magistrati segnalano un uomo, «il nipote di compare Peppe», che non è indagato in Hydra ma ha legami di sangue proprio con Giuseppe Calabrò, detto “U Dutturicchiu” per i suoi studi universitari e definito «personaggio di assoluto rilievo nel panorama criminale ’ndranghetista» oltre che «pluripregiudicato per traffico di sostanze stupefacenti, armi, associazione mafiosa, omicidio, riciclaggio, sequestro di persona a scopo estorsivo, rapina e altro». Un lungo elenco di reati che si accompagna, nel curriculum tracciato dagli inquirenti, a «relazioni di parentela alle ’ndrine Papalia e Barbaro di Platì nonché ai Romeo “Staccu” e ai Pelle “Gambazza” di San Luca». Un parterre di tutto rispetto: «’ndrangheta di serie A» la definirebbe l’ex procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri.
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Calabrò, ritenuto una figura di primo piano tra i clan calabresi nel Milanese, avrebbe partecipato a una trasferta a Roma assieme a Giancarlo Vestiti, considerato dai pm vicino al clan camorristico dei Senese, e Santo Crea, padre di Filippo ritenuto il referente dei clan nell’area di Melito Porto Salvo. I tre avrebbero viaggiato assieme per incontrare nella Capitale il boss Angelo Senese. Dagli anni bui dei sequestri a Milano e della “scalata” criminale delle cosche calabresi, Calabrò riemerge in un contesto segnato da rapporti trasversali tra mafie. Per gli inquirenti, gli indagati parlano di lui quando fanno riferimento a «l’anziano» o, ancora, a «u fantasma». «U Fantasma a me mi disse è un uomo onorato», dice Vestiti riferendosi, secondo i magistrati, a Calabrò. «Stiamo parlando di 128 carati», risponde il suo interlocutore.
Il nome di Calabrò finisce nelle conversazioni anche per un episodio mediatico. Negli uffici di Cinisello Balsamo nei quali il gruppo legato a Crea è solito riunirsi, si commenta una scena vista in tv e legata a un tentativo di intervista a Bovalino da parte di Klaus Davi proprio a Giuseppe Calabrò, «effettivamente avvenuto nell’estate 2017». «Sì, si vede proprio – è il commento – gli ha detto “che state facendo qua?” e cercava Peppe Calabrò… e ho visto la casa… ho detto “guarda tu ‘sto cornuto”». Seguono invettive contro l’intervistatore e un auspicio (per fortuna non realizzato): «Gli hanno tirato un vaso in testa però eh…». Commenti in libertà sull’incursione che avrebbe disturbato la tranquillità del “Fantasma” che, in effetti, nel marzo 2021 (all’epoca dell’intercettazione) era soltanto un vecchio affiliato con un grosso carico di precedenti. Più di un anno e mezzo dopo, il suo nome sarebbe finito nell’inchiesta sul sequestro Mazzotti assieme a quelli del boss 78enne di Africo Giuseppe Morabito, di Antonio Talia e Demetrio Latella. Sarebbe stato proprio “u Dutturicchiu” a minacciare con una pistola la giovane e gli amici che si trovavano con lei. E avrebbe anche «reclutato Latella e Talia a Milano nel gruppo di azione per il sequestro». Anche i fantasmi, a volte, riescono a farsi notare.