In carcere due imprenditori del calcestruzzo, un ex consigliere comunale e un allenatore di calcio. Il racconto delle estorsioni: «Chiedevamo soldi con gentilezza, poi gli tiravamo le sedie in faccia»
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«Abbiamo chiesto soldi con gentilezza, ma poi gli abbiamo tirato la sedia in faccia». A Costigliole d’Asti, tra le colline del Barbera, c’era la ’ndrangheta. La (tranquilla) ammissione è tratta da un vecchio interrogatorio di Salvatore Stambè, originario di Sant’Angelo di Gerocarne, nel Vibonese. La sua famiglia avrebbe esportato nel profondo Nord il metodo mafioso di riscossione dei crediti, stringendo legami con imprenditori del posto. Fatti emersi nell’inchiesta “Barbarossa” che, oggi, vengono confermati da una sentenza della Corte di Cassazione. Stambè, che aveva deciso di pentirsi per poi fare dietrofront, è stato processato con il rito abbreviato. I suoi compari piemontesi condannati per i quali la condanna è diventata definitiva sono due imprenditori del calcestruzzo, Fabio Biglino e Alberto Ughetto, un ex consigliere comunale, Mauro Giacosa, e un allenatore di calcio, Sandro Caruso.
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Per Biglino e Ughetto sono state confermate le pene a 7 e 6 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa ed estorsione. Giacosa si è preso 4 anni e 10 mesi per estorsione aggravata dal metodo mafioso; Caruso dovrà scontare 6 anni e 8 mesi per lo stesso reato, ma ha la recidiva. Tutti e quattro hanno sempre negato le contestazioni della Dda di Torino.
È la chiusura di un cerchio che si è aperto nel 2015, quando i magistrati antimafia hanno iniziato a indagare sul caso di Costigliole: sparatorie notturne, attentati incendiari, pestaggi sui quali aleggiava un silenzio fatto di paure.
L’inchiesta arriva presto a identificare i membri della famiglia Stambè. Arrivati nell’Astigiano dalla provincia di Vibo, sono braccianti agricoli e muratori ma presto iniziano a terrorizzare i cittadini della zona. Hanno contatti con altri due presunti clan attivi nella zona, le famiglie Catarisano ed Emma, ma i rapporti durano poco. Le intercettazioni su Salvatore Stambè, condannato a 7 anni, fanno emergere i contatti con Biglino e Ughetto. Ai due, gli Stambè propongono affari e un incontro con Rocco Zangrà, ex autotrasportatore condannato per associazione mafiosa e considerato elemento di spicco della ‘ndrangheta nel Basso Piemonte. L’idea di Stambè è quella di allargare i business dei suoi amici che lavorano nell’edilizia e ovviamente ottenerne un tornaconto. Si profilano affari con l’allora patron dell’Asti calcio Giuseppe Catarisano e qualche azione necessaria per recuperare i crediti vantati dagli amici. I debitori vengono avvicinati da Stambè con modi spicci: «Se non paghi ti sparo», è la proposta a una delle vittime di estorsione.
I crediti erano leciti anche per la Cassazione, ma per i giudici l’intimidazione mafiosa macchia in maniera indelebile il diritto di esercitare le proprie ragioni. Caruso, da parte sua, ha beneficiato dei servizi di Stambè (minacce e forse qualche schiaffo) per recuperare 2.500 euro da un ladro: «Il ladro non ha fatto un giorno di carcere, Stambè è già libero e io vado in cella», ha commentato a La Stampa.