AUDIO-VIDEO | La voce di Andrea Mantella ed il racconto dei business criminali intessuti oltre frontiera: dal narcotraffico alle grandi operazioni di riciclaggio
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«Intendo rispondere e collaborare con la giustizia italiana e svizzera». Addestrato al crimine nella Vibo Valentia degli anni ’80, vuota il sacco dopo quarant’anni di malavita, trascorsi scalando i ranghi dell’onorata società, armi in pugno e nel sangue. I suoi racconti travalicano i confini di una delle province più povere d’Europa, e scardinano i segreti dei grandi clan che trasferiscono le proprie ricchezze all’estero: lingotti d’oro, denaro, antiquariato, fuoriserie, armi, droga, grandi operazioni di riciclaggio, strutture alberghiere, cassette di sicurezza.
La fase storica
Andrea Mantella è davanti ad un pool di inquirenti italiani ed elvetici. È il 7 novembre del 2018. La Svizzera per i clan – l’ex killer parla soprattutto degli Anello di Filadelfia, ma anche dei Bonavota di Sant’Onofrio – è una sorta di Eldorado, dove mettere al riparo i proventi dei business illeciti. La collaborazione tra l’ufficio guidato dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri e quello del procuratore federale elvetico Sergio Mastroianni funziona – malgrado l’impianto normativo antiriciclaggio oltre frontiera, pur sottoposto a sensibili revisioni negli ultimi lustri, sia considerato ancora tutt’altro che efficace – e porta, nell’estate 2020, ad un nuovo imponente blitz, Imponimento. Segue Malapianta, maggio 2019, che condusse la Dda di Catanzaro a colpire i traffici dei Grande Aracri di Cutro tra Italia e Spagna, con crocevia in Svizzera. In mezzo la controversa sentenza della Corte di Cassazione che, stabilendo di fatto la non punibilità della cosiddetta «‘ndrangheta silente» in territorio estero, mandò assolti in via definitiva gli imputati del processo Helvetia, istruito dalla Procura antimafia di Reggio Calabria contro il locale di Frauenfeld.
Affari e riciclaggio
Andrea Mantella, però, racconta di una mala calabrese rampante sul piano imprenditoriale, pervasiva e parassitaria, quindi tutt’altro che silente. «Loro – dice il collaboratore – acquistano attività tipo bar, tipo negozi, tipo ristoranti, pizzerie e qualcosa così, e poi i soldi se li nascondono questi qui». «Sa in che modo?», domanda il procuratore Mastroianni. «Con una testa di legno ovviamente», la risposta. «E quindi soggetti che stanno all’estero, in Svizzera?». «Eh, certo». Il racconto è dettagliato, gli scambi illeciti sulla rotta criminale imbastita tra i due Paesi sono continui a variegati, «da e per»: dagli esplosivi al plastico, alle armi, alle auto di lusso… Ma i soldi, quelli grossi, quelli veri, è lì che finiscono. Il core business resta il narcotraffico.
Oro bianco e joint venture
Mantella spiega come funziona la joint venture tra grossi malandrini: «Io praticamente mettevo 50,30, 80.000, 40.000, quanto avevo, raccoglievo… si raccoglieva un milione, un milione e mezzo di euro, e si faceva questo passaggio…». Investimento, acquisto della droga, rimessione sul mercato, guadagno. «Ma in Svizzera lo stupefacente veniva portato o lo stupefacente veniva importato dalla Svizzera?», domandano gli inquirenti. La gola profonda: «Guardi, in Svizzera lo hanno portato. Ecco, quando mancava in Svizzera, che era in difficoltà, l’hanno portati ai calabresi. Quando mancava ai calabresi, la Svizzera lo portava in Calabria e in Italia. Funziona così».
I grandi broker
Insomma, oltre frontiera esisterebbe un sistema di narcotraffico radicato sul territorio e parallelo a quello calabrese. Mantella: «I Bonavota si appoggiavano a questi Anello e altre persone. Perché poi lì ci sono pure tipo i Morabito e i Palamara… però si sono messi più diciamo in Germania e in questa parte qui, in Austria che hanno messo…». Ma chi erano i fornitori? «Praticamente io già ho dichiarato al dottor Bombardieri chi sono», spiega il collaboratore, che inizia ad elencare: «Pantaleone Mancuso l’Ingegnere, Pantaleone Scarpuni anche se poi alla fine non si va d’accordo, ma questo non c’entra niente. Peppone Accorinti, Saverio Razionale. Vabbè, Pasquale Bonavota neanche glielo dico. Domenico Campisi, Vincenzo Barbieri. Ventrici…».
Il contesto temporale
Da precisare che le conoscenze di Mantella si fermano al 2016, quando iniziò il percorso di collaborazione con la giustizia, mentre negli anni precedenti aveva subito una lunga detenzione, durante la quale la ‘ndrangheta vibonese subì una serie di sconvolgimenti: gli omicidi dei grandi broker Domenico Campisi e Vincenzo Barbieri, la latitanza e poi la cattura di Pantaleone Mancuso l’Ingegnere, la guerra di mafia con la regia di Pantaleone Mancuso Scarpuni che in seguito fu arrestato, processato e condannato all’ergastolo. L’inizio della latitanza, mai terminata, di Pasquale Bonavota, l’unico allora a piede libero – tra i pezzi da novanta del crimine menzionati da Mantella – assieme a Saverio Razionale e Peppone Accorinti, questi ultimi arrestati solo nel dicembre del 2019 nella maxioperazione Rinascita Scott.
«Io, carta bollata»
Il superpentito cita quindi i nomi di capimafia notoriamente in contrasto tra loro. Particolare che non sfugge agli inquirenti. «E quindi se ne fregavano per così dire dei contrasti. Ora e addirittura in Svizzera erano così radicati da poter sopperire alle mancanze di stupefacente in Italia?», domandano increduli a Mantella, che risponde: «Certo». «Ma sta facendo delle supposizioni o lo sa?». E l’ex giovane padrino: «Ma io non parlo per supposizioni. Io parlo per cose su carta bollata delle mie esperienze».