Getta un “fascio di luce” anche sugli assetti criminali e mafiosi nella città capoluogo di regione, l’operazione “Jonny” scattata ieri contro il clan Arena di Isola Capo Rizzuto. Una città, Catanzaro (vedi cronaca Catanzaro) che sin dai primi anni ’90 ha subito le pressioni di consorterie di ‘ndrangheta potenti e provenienti da fuori provincia – come gli Arena di Isola Capo Rizzuto ed i Mancuso di Limbadi – che hanno trovato in loco i propri referenti. Ne parlano due nuovi collaboratori di giustizia: il vibonese Raffaele Moscato ed il catanzarese Santino Mirarchi. Le loro dichiarazioni aprono scenari dirompenti perché recentissime e dettagliate.

 

Raffaele Moscato e Catanzaro. “E’ Paolo Lentini – fa mettere va verbale Moscato - che prendeva le estorsioni a Catanzaro e aveva la sua parte di proventi nella c.d. bacinella tenuta fuori dal carcere. Fin da epoca successiva al suo arresto per armi tra il 1995 e il 2000, poiché si trovava in difficoltà economica, al fine di avere un garanzia di sostentamento ove fosse stato nuovamente arrestato, Paolo Lentini aveva iniziato a prendere un’estorsione a Catanzaro che veniva riscossa anche dal figlio Nicola. Lentini prendeva 25mila euro all’anno da Catanzaro. Almeno fino al 2014 il Lentini ha percepito tale estorsione. Lentini mi ha detto che gli altri soldi sono nella c.d. bacinella. La cosca di riferimento del Lentini era sempre quella degli Arena tra i quali ci sono Nicola Arena, Cecè Lentini, Gentile Franco ed altri”.

 

A Catanzaro, però, oltre agli Arena, avrebbero operato ed avuto grossi interessi pure due clan storici della ‘ndrangheta: i Grande Aracri di Cutro ed i Mancuso di Limbadi. “In merito alle estorsioni Lentini diceva – continua ancora Moscato - che loro intervengono in una parte di Catanzaro, città dove però opera anche Grande Aracri e gli era stata fatta la proposta di inserirsi anche ai Mancuso, perché gli Arena erano in contatto con i Mancuso”. Dichiarazioni, quelle di Moscato, che vanno a confermare quanto già emerso nella storica inchiesta “Ghibli” del 1993 quando era emersa chiara l’influenza dei Mancuso su una parte di Catanzaro attraverso propri referenti catanzaresi che si erano spartiti il territorio insieme al clan dei “Gaglianesi” capeggiati dal boss Girolamo, alias “Gino”, Costanzo (referente degli Arena), dal clan dei Critelli e dai Catanzariti. Il tutto dopo che Girolamo Costanzo aveva fatto uccidere nei primi anni ’90 Pietro Cosimo, con mandato omicidiario conferito ai vibonesi Pasquale Pititto e Nazzareno Prostamo, esponenti dell’omonimo clan di San Giovanni di Mileto.

 

Santo Mirarchi e il potere sul capoluogo di regione. Ad entrare ancor di più nel dettaglio degli assetti mafiosi a Catanzaro e della gestione di molteplici affari è poi Santo Mirarchi, collaboratore di giustizia dallo scorso anno, affiliato alla ‘ndrangheta nel carcere di Siano poco tempo dopo esservi entrato a seguito di un arresto subito nel settembre 2009 per reati in materia. A conferirgli le “doti” mafiose, secondo il suo racconto, sarebbe stato Vincenzo Manfreda di Isola Capo Rizzuto, all’epoca detenuto nella medesima struttura carceraria e che sostanzialmente lo collocavano “all’interno del vasto contesto che aveva come cosca di riferimento principale il sodalizio degli Arena di Isola di Capo Rizzuto, con la precisazione che all’epoca gli veniva fatta – rimarcano gli inquirenti - per la quale egli avrebbe dovuto considerare come suo riferimento diretto Gino Costanzo esponente storico della criminalità organizzata catanzaresi (clan c.d dei Gaglianesi) che era già da molto tempo detenuto”. Il collaboratore Santo Mirarchi  evidenziava poi il profilo di subalternità criminale degli esponenti della comunità rom, alla quale egli era legato per essere statosposato con Berlingieri Stefania, figlia di Berlingieri Antonio e nipote di Abbruzzese Cosimino, alias “U Tubu”, giacché le che le organizzazioni criminali dei rom, pur avendo una propria autonomia, non potevano far valere le doti assegnate al loro interno che non erano riconosciute dalla ‘ndrangheta.

 

Gli “affari” a Catanzaro e Leonardo Sacco. Secondo le risultanze investigative dell’inchiesta “Jonny” e le dichiarazioni del pentito Santo Mirarchi, sarebbe stato Leonardo Sacco, il governatore della Misericordia di Isola Capo Rizzuto, satellite calabrese della storica Confraternita delle Misericordie, la persona deputata ad investire il danaro della consorteria degli Arena. In particolare, ha spiegato che le usure venivano finanziate con danaro proveniente dalla bacinella isolitana e per quelle perpetrate dalla falange Catanzarese, cui apparteneva Mirarchi, praticava un interesse mensile pari al 25 per cento, di cui, il 15 per cento veniva incamerato dai Catanzaresi, il restante 10 per cento veniva consegnato a Paolo Lentini, che, a sua volta, lo consegnava a Leonardo Sacco perché provvedesse a custodirlo o a reinvestirlo.

 

Nel mirino di Mirarchi e del suo gruppo al quale il clan Arena di Isola Capo Rizzuto avrebbe assegnato la zona di Catanzaro Lido sarebbero finite nel 2015 anche le imprese di onoranze funebri, prese di mira con diversi danneggiamenti. Il tutto – secondo le dichiarazioni del collaboratore - sin quando nel mirino non sarebbe finita pure un’impresa che oltre a Catanzaro aveva sede pure a Cutro, con socio occulto il boss Nicolino Grande Aracri. Per via di tale legame, il titolare della ditta funebre avrebbe preteso di essere tenuto indenne dalle pressioni estorsive pure a Catanzaro.

 

La spartizione dei proventi illeciti. Stando alle confessioni di Santo Mirarchi, sarebbe stato Nico Gioffrè il “referente Catanzarese della cosca di Isola Capo Rizzuto, che aveva suddiviso la gestione criminale dei territorio della città di Catanzaro affidando la zona di Germaneto a Lionetti Costantino, la zona Nord della città di Catanzaro a Miniaci Luigi e Catanzaro Sud allo stesso Mirarchi.

 

I proventi estorsivi sarebbero stati però “interamente devoluti alla cosca isolitana degli Arena in ragione del sostentamento dei loro detenuti”. Per tale ragione già dal Natale del 2014 Santo Mirarchi si sarebbe visto costretto a palesare il proprio disappunto a Gioffrè per non aver ricevuto alcun compenso. “A fronte della raccolta di ben 40mila euro per la cosca Arena – scrivono i magistrati - interveniva un unico compenso per il gruppo di Santo Mirarchi di soli 5000 euro, ricevuti poco prima di Pasqua 2015. Avendocreato un disagio alla squadra di Santino Mirarchi, Gioffrè dopo aver consultato i vertici dellacosca di Isola Capo Rizzuto, avrebbe però concesso al collaboratore la riscossione diretta delle estorsioni nei confronti di piccoli imprenditori al fine di distribuirli tra gli “azionisti” catanzaresi”.

 

Giuseppe Baglivo