La funzionaria, ora ai domiciliari, avrebbe favorito alcuni detenuti condannati per reati di mafia e sottoposti a regime di alta sicurezza: potevano stare in cella con parenti e affiliati, beneficiando di un trattamento di favore per trasferimenti e permessi
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Favori a boss detenuti, miopie telecomandate su piccole e grandi violazioni, permanenze prolungate di capimafia che a Reggio non ci dovevano stare e poi permessi, concessioni, magari grazie a certificati medici assolutamente opinabili. C’è tutto questo nell’inchiesta della procura di Reggio Calabria che ha portato oggi all’arresto per concorso esterno in associazione mafiosa dell’ex direttrice del carcere di Reggio Calabria, Maria Carmela Longo, finita ai domiciliari per ordine del gip Domenico Armaleo.
La direttrice amica dei clan
Si mostrava funzionaria pignola fin quasi alla paranoia, dice chi ha lavorato con lei, ma in realtà - dimostra l’inchiesta dei pm Stefano Musolino e Sabrina Fornaro della Dda di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri – la direttrice Longo era un’alleata dei clan. Una su cui in troppi potevano contare per non perdere contatti, rapporti, potere.
I “prediletti” della Longo
A beneficiare di favori, omissioni e trattamenti di riguardo sono stati gli uomini di tutte le più importanti famiglie di mafia reggine, a partire dall’avvocato Paolo Romeo, in passato condannato in via definitiva per concorso esterno e attualmente imputato come elemento di vertice della direzione strategica della ‘Ndrangheta reggina nel processo Gotha. Insieme a lui, ha svelato l’inchiesta, hanno potuto contare su un trattamento di favore anche il boss di Sinopoli Cosimo Alvaro, l’uomo degli arcoti, Michele Crudo, Maurizio Cortese, e poi pezzi da novanta dei clan della Piana, come Domenico Bellocco e Giovanni Battista Cacciola.
Parenti e affiliati nella medesima cella
Tutti detenuti del circuito di Alta sicurezza, tutti soggetti che a dispetto di regole, circolari e prassi hanno diviso celle e ore d’aria con parenti, picciotti o affiliati al medesimo clan o a famiglie federate. Con i quali hanno chiacchierato, magari pianificato strategie o concordato versioni e linee difensive.
Lavoro all’esterno su richiesta
Per alcuni selezionatissimi detenuti poi, la direttrice Longo si è spinta anche oltre. Secondo i magistrati, era su indicazione dei vertici dei clan che individuava i detenuti autorizzati a lavorare in carcere o indicava ai magistrati di sorveglianza chi autorizzare al lavoro esterno. E se in quelle occasioni qualcuno incontrava familiari o amici, si chiudeva un occhio. Regolarmente.
E trasferimenti su commissione
Su richiesta dei clan, hanno svelato le indagini, Longo si è mostrata anche disponibile ad accogliere nel carcere di Reggio Calabria detenuti di ‘Ndrangheta spediti in istituti di pena troppo lontani dalla Calabria per essere visitati con regolarità da amici e parenti. O che forse avevano necessità di non allontanarsi troppo dal proprio territorio per continuare a controllarlo.
Altri indagati nel mirino?
Piccole e grandi violazioni collezionate nei lunghi anni, più di quindici, che Longo ha passato a dirigere prima il solo carcere di San Pietro, quindi anche quello di Arghillà. Ma – ipotizzano i magistrati – potrebbe non aver agito da sola. Per questo, la contestazione di concorso esterno che le viene mossa è in concorso con altri – al momento anonimi –