Salvatore Giacobbe, 72 anni, di Gioia Tauro, ha la dote ‘ndranghetista del Vangelo e la Dda di Milano lo considera a capo di un sottogruppo mafioso radicato a Milano ma con solidi legami con le altre storiche organizzazioni ‘ndranghetiste, tra le quali la cosca Piromalli di Gioia Tauro. È Salvatore Giacobbe, scrivono i magistrati della Dda di Milano, che mantiene i rapporti con Girolamo Piromalli, detto “Mommo”, 44 anni, e con i suoi emissari.
È sempre lui – racconta l'inchiesta che ieri ha condotto 14 persone in carcere – che sovrintende alle attività illecite della consorteria, dalle estorsioni al traffico illecito di rifiuti, attività che sovrintende e il cui aspetto operativo era demandato a Giovanni Caridi, 46 anni, di Torino, che, a sua volta, operava attraverso la collaborazione di Davide Lorenzo  Leone, 46 anni, di Milano e residente a Bucarest, e Domenico Aquilino, 66 anni, originario di Reggio Calabria e residente nel Modenese.
È sempre Salvatore Giacobbe che cura l’affare delle truffe alle agenzie di lavoro interinale che vede implicati anche Vincenzo Giacobbe, 45 anni, figlio di Salvatore, nato a Milano, e Alessandro Solano, 46 anni, nato a Vibo Valentia e residente nel Milanese.

Tutti gli step della truffa alle agenzie interinali

La truffa alle agenzie, così come viene contestata dalla Distrettuale di Milano, prevedeva diversi step: alle due società che sarebbero state truffate veniva inviata una documentazione fasulla che attestava la solidità della società Brema srl, ditta della quale si serviva la consorteria.
In seguito veniva simulata la necessità di manodopera segnalando i nominativi dei dipendenti conniventi da impiegare.
Venivano così stipulati dei contratti di somministrazione di lavoro con durata di 90 giorni, laddove, sebbene i lavoratori non venivano mai veramente avviati all’attività lavorativa, Vincenzo Giacobbe e Alessandro Solano fornivano mensilmente alle agenzie di lavoro temporaneo moduli di pagamento attestanti prestazioni lavorative, ore di straordinario, trasferte ed altre indennità mai realmente svolte e/o conseguite.

Un lavoro mai svolto che procurava alla cosca e ai finti lavoratori compiacenti un ingiusto profitto visto che le due agenzie hanno versato alla Brema somme di denaro non inferiori a 43.325,42 una e a 29.322,77 l’altra.

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A raccontare queste truffe è, già nel 2015, il collaboratore di giustizia Luciano Nocera che di Salvatore Giacobbe dice: «è un truffatore […] fanno... prendono una ditta, come ho capito io prendono una ditta, vanno nelle agenzie... sa che ci sono le agenzie che cercano personale, gli danno i documenti e pigliano i soldi degli operai, solo che agli operai gli danno 500 euro e lo stipendio è di 1.500, 1.300, e si pigliano quei soldi lì. Ha capito?... tutto il casino di Albanese Ernesto è partito tutto dalla spartizione dei soldi di ‘sti finanziamenti, di ‘sti soldi... non finanziamenti, di buste paga…».

Il caso Albanese

Ma cos’è il «casino di Ernesto Albanese»?
Ernesto Albanese, calabrese di Polistena, malavitoso legato alla ‘ndrangheta lombarda, è stato ucciso il 9 giugno 2014. Il suo corpo è stato ritrovato solo a settembre, sepolto nel giardinetto di una villa in costruzione a Guanzate. È stato ucciso con cinquanta coltellate ma tutte scientemente inflitte senza colpire organi vitali, per procurare agonia e un doloroso dissanguamento. Per questo delitto sono stati condannati in tre all’ergastolo tra i quali il collaboratore di giustizia Luciano Nocera.
Ora, secondo quanto racconta Nocera, lo stesso omicidio di Ernesto Albanese «era nato – è scritto nei brogliacci dell’inchiesta – proprio per un problema di spartizione di 32mila euro recuperati dai finti lavoratori, soldi che questi, contrariamente a quanto voluto da Virgato (Francesco Virgato, camorrista di sgarro del locale di Agrate, ancora oggi detenuto), aveva consegnato direttamente a Giacobbe il quale, distribuita la somma tra i presenti come ritenuto, gli avrebbe affidato 500 euro spettanti al Virgato cui tuttavia non sarebbero mai stati consegnati perché Albanese era partito per la Calabria senza dargli nulla, suscitando così l’ira del compare».

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Uffici inesistenti e finti lavoratori

Ora, al di là di questa cruenta parentesi tutta di dimostrare, restano le vicende delle due agenzie che, col tempo, avevano scoperto uffici inesistenti, false dichiarazioni di presunti lavoratori e stipendi che in realtà non erano stati mai erogati.
La prima società truffata, il 6 marzo 2019, dopo il sopralluogo eseguito direttamente dal proprio referente presso la sede della società Brema, cominciava a nutrire dubbi effettivi che prendevano concretezza tuttavia solo tra il 23 ed il 26 marzo 2020, ovvero, dopo le audizioni di due lavoratori «le cui dichiarazioni risultavano, a quel punto, inequivocabilmente false (avendo quelli riferito di aver svolto le loro mansioni presso l’ufficio che era già stato verificato inesistente)».
La società decide di querelare.
Il gip nell’ordinanza rincara la dose: «Le attività di intercettazione telefonica davano totale e tombale riscontro alle dichiarazioni già di per sé esaustive e documentate della querelante, perché di fatto hanno registrato, praticamente in diretta, tutte le fasi sopra narrate, ed anche, addirittura i suoi antefatti».

La gestione di Giacobbe e Solano

Gli inquirenti avrebbero appurato che «Vincenzo Giacobbe e Alessandro Solano, oltre a dare istruzioni ai dipendenti, gestivano personalmente l’organizzazione burocratica sottesa a ciascuna assunzione. Servivano infatti caselle di posta elettronica, attivazione di conti correnti e carte ricaricabili Postepay su cui accreditare gli stipendi…». Gestivano le proroghe di assunzione, le dimissioni anticipate e le sostituzioni.
E Vincenzo Giacobbe «teneva suo padre Salvatore costantemente aggiornato, soprattutto con riferimento alle tempistiche ed alle modalità degli accrediti degli stipendi (in quest’ultimo caso, sempre tramite “ricariche” su carte Postepay) e quindi all’incasso del loro profitto».