C’è anche il sindaco di Rosarno, Giuseppe Idà, tra le 49 persone finite in manette questa mattina nell’ambito dell’operazione “Faust” della Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Al primo cittadino applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari.

Associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso, traffico di stupefacenti, detenzione illegale di armi, tentato omicidio, usura e procurata inosservanza di pena. Queste le accuse mosse a vario titolo contro le quarantanove persone arrestate a Rosarno, Polistena e Anoia, nel Reggino, nonché nelle province di Messina, Vibo Valentia, Salerno, Matera, Brindisi, Taranto, Alessandria e Pavia, dai carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria, a conclusione delle indagini coordinate dalla Dda reggina. Sessantatre in tutto gli indagati. 

L'ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal Gip del Tribunale di Reggio Calabria. I dettagli saranno resi noti durante una conferenza stampa da remoto che si terrà alle ore 11  a cura del comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria ed a cui parteciperanno il Procuratore della Repubblica, Giovanni Bombardieri, ed il Procuratore della Repubblica Aggiunto, Gaetano Calogero Paci

Il provvedimento è l’esito di una complessa attività investigativa, avviata dal 2016 dai carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Reggio Calabria, con il concorso dei Reparti territoriali della Piana di Gioia Tauro,  diretta inizialmente dal sostituto procuratore Adriana Sciglio e successivamente dal sostituto procuratore Sabrina Fornaro, con il coordinamento del procuratore aggiunto Gaetano Calogero Paci, che ha consentito di acclarare la radicata e attuale operatività della cosca Pisano, conosciuti comi i diavoli di Rosarno, mediante una rete collaudata di cointeressenze criminose.

Le accuse a Idà

Secondo il capo d'imputazione, a Giuseppe Idà è contestato l'«aver accettato, quale candidato a sindaco, la promessa di Pisano Francesco. Pisano Salvatore, Pisano Domenico e Iannace Giuseppe di procurargli voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416 bis c.p. in cambio di altre utilità, tra cui: l’assegnazione a Scriva Domenico – uomo di fiducia di Pisano Domenico – dell’assessorato ai lavori pubblici o, comunque, l’attribuzione al medesimo di altro incarico di prestigio; il mutamento della destinazione urbanistica dei terreni di Pisano Francesco, ubicati in prossimità dello svincolo autostradale; la riapertura del centro vaccinale a Rosarno con conseguente allocazione dello stesso in un immobile di pertinenza della cosca Pisano; l’adozione di provvedimenti nei confronti dei dipendenti comunali, quali la rimozione di Cannizzaro Domenico dall’incarico di economo e/o l’applicazione al medesimo di sanzioni disciplinari in caso di assenze ingiustificate; l’attribuzione della carica di vice sindaco a persona di loro fiducia; l’esecuzione di lavori pubblici di interesse per i componenti della consorteria. Nonché per aver richiesto a Pesce Carmine di procurargli voti mediante le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416 bis c.p. in cambio di altre utilità non meglio potute accertare. Reato commesso in Rosarno in epoca antecedente e prossima al 5 giugno 2016».

La cosca Pisano

Sono stati accertati i rapporti della cosca Pisano con altre storiche cosche del territorio della provincia di Reggio Calabria, anche operanti in altre parti del territorio nazionale. Particolarmente significativi sono gli accertamenti sulla operatività dell’articolazione territoriale di ‘ndrangheta denominata società di Polistena, capeggiata storicamente da esponenti della famiglia Longo e della locale di ‘ndrangheta di Anoia, il cui vertice criminale è rappresentato da una famiglia di imprenditori edili.

Il traffico di droga

L’indagine ha permesso, inoltre, di documentare l’esistenza di una fiorente attività di narcotraffico che, partendo dall’hub portuale di Gioia Tauro, ha intersecato gli interessi illeciti anche di appartenenti ad altre realtà criminali organizzate, operanti sui territori della Campania, grazie alle contiguità con appartenenti a storiche consorterie camorristiche, Puglia, con particolari aderenze a consessi della Sacra Corona Unita, Basilicata, ove è stata documentata la rete relazionale intessuta con esponenti di un’articolazione mafiosa locale denominata storicamente dei “basilischi” quale promanazione di matrice ‘ndranghetistica.

Nell’ambito delle dinamiche connesse all’assunzione del predominio della gestione del traffico illecito di sostanze stupefacenti, era maturato anche il proposito omicidiario posto in essere in danno di un affiliato ad una delle articolazioni di ‘ndrangheta operative sul territorio con particolare declinazione nello specifico settore illecito. Delitto che non si è poi realizzato, solo perché la vittima non è caduta nella trama criminale, non presentandosi agli appuntamenti che le sarebbero stati fatali.

Usura ed estorsioni

Partendo dal contesto legato al narcotraffico è stato registrato il reimpiego del denaro in attività usurarie, tale pratica ha denotato la capacità dell’articolazione mafiosa investigata di pervadere l’economia legale quale naturale evoluzione criminale dei capitali illecitamente accumulati: pratiche che condizionano la libera economia, permettendo agli esponenti della consorteria mafiosa interessata dall’odierno provvedimento di controllare diverse realtà imprenditoriali operanti sul territorio.

In tale quadro, le indagini hanno consentito di censire diversi episodi di minacce e danneggiamento in danno di commercianti e relativi beni mobili ed esercizi commerciali, fatti commessi a scopo estorsivo con finalità mafiose così come il compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a consumare una rapina ai danni della proprietaria di una struttura alberghiera. Gli episodi censiti e documentati hanno permesso di sottolineare che la ‘ndrangheta, in special modo in taluni territori, non ha mai abbandonato la pratica della violenza finalizzata alle esazioni estorsive non solo quale mezzo di arricchimento illecito ma soprattutto quale strumento di controllo del territorio.

Truffe

Sempre nell’alveo dell’attività criminose della cosca Pisano, sono state raccolte fonti di prova che hanno permesso, inoltre, di documentare la commissione di truffe mediante artifizi e raggiri consistiti nel far figurare delle ritenute d’acconto su redditi non soggetti ad Irpef, nelle dichiarazioni dei redditi presentate nell’interesse di persone asseritamente non soggette a tassazione, traendo in inganno gli enti previdenziali sul diritto del richiedente al rimborso delle ritenute, in realtà non effettuate, ottenendo così ingiustamente il rimborso di danaro.

Favoreggiamento latitanti

Nel corso della medesima attività investigativa è emerso anche il favoreggiamento, da parte di alcuni indagati, della latitanza di un associato, Domenico Pepè, finalizzata ad evitare l’esecuzione dell’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere. Latitante che, è stato assicurato alla giustizia nel dicembre 2017. Particolare rilevante da evidenziare è il fatto che il latitante avesse trovato rifugio in Campania, a riprova del legame di tipo mutualistico che avevano stretto la consorteria mafiosa rosarnese con quella salernitana.

Infiltrazioni nella politica

Di rilevante gravità, infine, le accuse sul condizionamento degli organi di vertice dell’amministrazione locale, mediante il controllo e la guida delle campagne elettorali nell’ultima competizione comunale di Rosarno. In particolare, le investigazioni avrebbero consentito di accertare l’appoggio elettorale fornito dalla cosca Pisano al candidato sindaco di Rosarno e ad un consigliere comunale, poi risultati eletti e tuttora in carica, odierni destinatari di misura custodiale domiciliare, in cambio della promessa di incarichi nell’organigramma comunale a uomini di fiducia della consorteria criminale, nonché l’assegnazione di lavori pubblici e di altri favoritismi. Nell’ambito dell’attività è emersa anche una situazione di tensione scaturita dalla condotta del sindaco neo eletto finalizzata a palesare una presa di posizione distante dalle locali consorterie mafiose che invece avevano palesemente e concordemente appoggiato la sua campagna elettorale.

Gli indagati

Anania Livio Giuseppe
Belcastro Raffaele
Belcastro Salvatore
Caccamo Angelo
Cammarere Raffaele
Caponigro Antonella
Carlo Salvatore
Cascone Salvatore
Consiglio Giuseppe
Consiglio Salvatore
Corradini Giovanni
Cucinotta Andrea
Cutano Antonio
Cutano Francesco
Cutano Luigi
Cuturello Alfonso
Dimonte Salvatore Antonio
Ferrinda Antonino
Fusca Cono Rocco
Gambardella Sergio
Giardino Girolamo
Grasso Giovanni
Iannace Giuseppe
Iannaci Stefano
Idà Giuseppe
Ierace Antonio
Ieraci Francesco
Iorio Angelo
Lamanna Diego
Ligato Mattia
Longo Domenico
Longo Francesco
Longo Vincenzo
Mallamace Giuseppe
Marino Domenico
Messina Giuseppe
Minella Pasquale
Montenegro Teodoro
Moretto Biagio
Occhiato Rocco
Pace Angela
Pace Giuseppe
Paladino Salvatore
Palermo Ruggero
Panariello Franco
Pepè Domenico
Pesce Carmine
Petrini Marco
Pisano Antonio
Pisano Bruno
Pisano Domenico
Pisano Francesco
Pisano Luigi
Pisano Maurizio
Pisano Salvatore
Pisano Vincenzo
Porcelli Vincenzo
Scarcia Salvatore
Scriva Domenico
Seminara Giuseppe
Sica Rosa
Spada Giuseppe
Vecchio Rosalba