28 anni esatti, tanti ne sono passati da quel tragico 4 gennaio 1992 quando un duplice omicidio avrebbe scosso e cambiato definitivamente Lamezia Terme. E anche quest’anno la città e le forze dell’ordine hanno voluto ricordare e omaggiare la tempra e il coraggio e la memoria del sovrintendente di Polizia Salvatore Aversa, ucciso in un agguato insieme alla moglie Lucia Precenzano.

Lamezia ricorda i coniugi Aversa

Nei locali del commissariato di polizia si è tenuta una celebrazione officiata da don Biagio Maimone, cappellano militare della Questura di Catanzaro. Presenti il figlio Paolo Aversa e la nipotina Giovanna, il sindaco Mascaro e il vicesindaco Antonello Bevilacqua, il dirigente del Commissariato di Lamezia Terme Alessandro Tocco, il vicario del Questore di Catanzaro Aurelio Montaruli, il Colonnello provinciale del Carabinieri Antonio Montanaro, il capitano della compagnia Carabinieri Lamezia Pietro Tribuzio e il comandante del Gruppo Carabinieri Lamezia Terme Massimo Ribaudo.

Il brutale omicidio


Un omicidio efferato, commesso in centro, poco prima delle sei di un pomeriggio di un giorno di festa, a poche ore dall’Epifania. Arrivati sul posto i carabinieri avrebbero trovato la peugeot 205 del sovrintendente con la portiera anteriore destra aperta, la chiave inserita e il quadro acceso. Nell’abitacolo, con la testa riversa sul volante il corpo senza vita del Sovrintendente, distesa sull’asfalto la moglie, in fin di vita. Sarebbe morta da lì a poco.

Erano anni neri, anni bui per Lamezia, di faide e mala politica. Erano gli anni del primo scioglimento per infiltrazioni mafiose del consiglio comunale, gli anni del delitto dei netturbini Tramonte e Cristiano, gli anni delle faide. Aversa aveva molto su cui lavorare e lo faceva con rigore ed intransigenza, doti che gli venivano riconosciute unanimemente.

Le indagini 

Personaggio chiave di questa storia quella che in un primo tempo fu considerata un’eroina, tanto da essere anche premiata con la medaglia d’oro al valor civile dal Presidente della Repubblica. È la super testimone Rosetta Cerminara che il tempo rivelerà essere una millantatrice, una bugiarda condannata poi per truffa aggravata ai danni dello Stato, falso e calunnia.

 

Sembrava essere lei la chiave di svolta delle indagini ma verrà dimostrato che voleva vendicarsi del suo ex fidanzato e così Giuseppe Rizzardi e Renato Molinaro, finiti in un primo momento in carcere e considerato gli assassini, verranno assolti segnando un clamoroso fallimento delle indagini ancora oggi studiato come esempio giudiziario.

Le parole dei pentiti

Bisognerà aspettare il 2000 perché due collaboratori di giustizia della Sacra corona unita pugliese, Stefano Speciale e Salvatore Chirico, confessino di essere i killer e di avere premuto il grilletto per conto di Antonio Giorgi, presunto esponente dell’omonimo clan di San Luca, dietro la promessa dell’annullamento di un debito per droga. A tirare le fila di tutte le marionette sarebbe stato il boss Francesco Giampà poi condannato. Tanti i punti ancora oscuri e interrogativi senza risposta tanto che c’è chi chiede la riapertura del processo.