Secondo le testimonianze dei sopravvissuti erano in due a condurre la barca, forse per pagarsi la traversata. L’altro sarebbe scomparso tra le onde. Omicidio a bordo: l'uomo accusato di aver ucciso una 16enne si è sentito male in tribunale, udienza sospesa. Attesa per la deposizione della madre della ragazza
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È durata solo qualche minuto l’udienza sulla morte di Maylan, la ragazza sedicenne ammazzata sul barcone teatro dell’ultima tragedia del mare sulla rotta turca. Il suo presunto omicida, il ventinovenne curdo iracheno Ahmadi Haukar – uno degli undici sopravvissuti al naufragio di metà giugno avvenuto a circa 120 miglia nautiche dalle coste di Roccella – ha infatti accusato un malore in aula ed è stato trasportato in ospedale per una serie di controlli.
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La testimonianza della madre nella prossima udienza
Rinviato ai prossimi giorni quindi l’incidente probatorio con cui la Procura intende cristallizzare le dichiarazioni degli altri sopravvissuti alla strage che nei giorni scorsi avevano raccontato agli investigatori gli attimi tremendi in cui è maturato l’omicidio, aiutandoli a riconoscere il presunto omicida, in quei giorni ricoverato all’ospedale di Polistena per le ferite riportate durante il naufragio. Nella prossima udienza, fissata in settimana, sarà proprio la madre della ragazza uccisa a testimoniare in aula su quanto accaduto in quel relitto alla deriva ricolmo di cadaveri annegati. La donna, ricoverata a lungo nell’ospedale di Soverato e da qualche giorno trasferita in un'altra località, aveva raccontato agli inquirenti della furia di Haukar (indagato per omicidio volontario aggravato dalla giovane età della vittima) rivolta contro una ragazzina inerme, già fortemente debilitata dalla lunga permanenza su un veliero semiaffondato e alla deriva da giorni.
La mamma di Maylan aveva raccontato di come l’uomo, che già durante il viaggio aveva manifestato forte nervosismo e comportamenti sopra le righe anche con gli altri passeggeri, si fosse avventato sull’adolescente piantando le ginocchia sul petto della ragazza e facendo forza con tutto il peso del suo corpo fino alla morte per soffocamento. Un gesto violento e senza ragioni apparenti, maturato in un contesto di morte e desolazione, con la barca in avaria e ferma in mezzo al mare e con i pochi sopravvissuti rimasti senza cibo e acqua per giorni.
Gli scafisti era due: sarebbero entrambi morti
Potrebbero invece essere entrambi morti nel naufragio gli scafisti che – hanno raccontato i superstiti ai loro familiari arrivati in Calabria da mezza Europa – erano alla guida del piccolo veliero partito dalla spiaggia turca di Bodrum. Secondo quanto filtrato dalle dichiarazioni dei parenti delle vittime, sarebbero stati due i piloti della piccola barca a vela: uno, forse il capitano, avrebbe provato ad allontanarsi dalla barca subito dopo il naufragio ma sarebbe stato visto affondare a poca distanza dal relitto. L’altro invece, che si sarebbe imbarcato assieme ai due figli e che potrebbe avere accettato di pilotare il veliero per pagarsi il biglietto, si sarebbe lasciato andare in mare dopo che, nei momenti più drammatici del naufragio, i due ragazzi che lo accompagnavano non erano riusciti a rimanere a galla.
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Trentasei corpi recuperati
Trentasei i morti finora recuperati dalle squadre di soccorso nei giorni immediatamente successivi al naufragio: difficile che, a distanza di due settimane dagli eventi, il mare, considerata anche la grande distanza dalle coste calabresi e da quelle greche (il naufragio è avvenuto al confine tra le acque Sar di competenza dei due paesi) ne possa restituire altri. Sparpagliati tra le morgue di Reggio, Polistena e Locri, e in parte in un container refrigerato allestito all’interno del porto di Gioia Tauro, i corpi delle vittime finora recuperati restano sospesi in un limbo indefinito, in attesa che le complesse procedure di riconoscimento siano completate, senza un luogo unico in fermarsi per lasciare un fiore o per un momento di raccoglimento.
Solo due corpi finora riconosciuti
Solo due finora i corpi riconosciuti dai parenti delle vittime arrivati sulle banchine del porto di Roccella dove è stato allestito (all’interno della blindatissima area migranti) il centro di raccolta e informazioni. Il primo è un giovane di origine afghana, il cui corpo senza vita era stato portato proprio a Roccella, che la famiglia vorrebbe riportare a casa: della vicenda, e dei relativi costi, se ne sta occupando la Caritas di Roccella ma i tempi potrebbero essere ancora piuttosto lunghi.
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Il secondo corpo riconosciuto è invece quello di Ismail, un giovane originario del Kurdistan iracheno che su quel veliero stipato all’inverosimile si era imbarcato in compagnia della moglie incinta all’ottavo mese e delle sue due figlie di 4 e 6 anni. A riconoscere il cadavere del giovane è stato il cugino Abdul arrivato a Roccella dall’Inghilterra poche ore dopo che la notizia del naufragio aveva iniziato a rimbalzare sui media. Il corpo di Ismail non era tra quelli recuperati nelle prime ore e solo in un secondo momento il giovane ha potuto riconoscere il suo parente. All’appello mancano ancora i corpi degli altri tre componenti della sua famiglia ed è per questo motivo che Abdul è rimasto in zona, con la speranza che da qualcuno dei cadaveri sparpagliati per il territorio dell’intera provincia possa arrivare un riscontro positivo attraverso l’esame del Dna.